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Mercoledì delle Ceneri, “Entrare nella Quaresima come ad una festa…”. Commento al Vangelo

Commento al Vangelo del Mercoledì delle Ceneri

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Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano

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Mercoledì delle Ceneri
Gl 2, 12-18; Sal 50; 2Cor 5,20-6,2; Mt 6, 1-6; 16-18

Il mondo vive con piena soddisfazione una continua anti-quaresima … il nostro mondo, in particolare, ha rigettato per sempre le parole “rinunzia”, “sacrificio”, “fatica” … quando vi è costretto, quando le rinunzie, i sacrifici e le fatiche sono imposti dalla storia parla subito di “crisi” … tutto questo senza mai voler far caso al fatto che la sua continua ed agognata anti-quaresima fa precipitare tanti uomini in una “quaresima” perpetua che si chiama solo miseria e che genera rabbia, odio, morte. L’anti-quaresima di una piccola parte dell’umanità (a cui noi apparteniamo!) genera la miseria della gran parte dell’umanità. Bisogna dirselo non per generare sterili sensi di colpa ma per sapere la verità ed iniziare a praticare stili di vita diversi, cominciare a pensare e a praticare un’economia alternativa a questa mortifera che oggi domina.

Noi credenti, nonostante il nostro proclamato discepolato di Cristo, siamo continuamente attirati e lusingati da questa anti-quaresima del mondo e siamo stati capaci ci creare ed ipotizzare un cristianesimo senza lotte e senza ascesi credendo di poter relegare queste cose tra le cianfrusaglie del passato, di un passato “oscuro” che non serve più.

La Quaresima che la Chiesa fa iniziare ogni anno quaranta giorni prima della Pasqua, è certo una richiesta, invece, a prendere le armi della lotta e della rinunzia.

L’Evangelo che oggi si proclama parla di elemosina (parola che viene dal verbo greco “eleéo” che significa “avere compassione”; è lo stesso verbo che usiamo per dire al Signore: “Kyrie eléison”!), di preghiera e di digiuno. Tutte cose che ci chiedono di voltare le spalle a qualcosa che ci appartiene: i beni, il tempo e ciò che ci nutre.

I  beni che ci è chiesto di donare, non per degnazione e per larghezza di superfluo, ma per quello straordinario movimento del cuore che è la compassione.

In primo luogo mi è chiesto di donare il tempo; il tempo che ci è domandato per la preghiera, sì perché per pregare devo voler “bruciare” del mio tempo dinanzi a Dio facendo di quel tempo uno spazio in cui si incontra Dio, spazio per Lui, vita donata a Lui ed ai fratelli nell’intercessione (la vera preghiera cristiana, infatti, non è mai solo per me ma è sempre preghiera aperta al mondo, legame del mondo con Dio che passa per me, per il mio tempo).

Mi è chiesto poi di volgermi  al nutrimento;  al “mangiare”  rinunzio nel digiuno e, se è vero che ci possono essere tanti digiuni, resta vero che il digiuno del cibo concreto, di quello che mangio, ha una forza simbolica fortissima perché attiene al mio corpo, a ciò che lo sostenta, a ciò che entra in me e per cui provo “fame”. Il digiuno ci “brucia”, ci “scotta” in quel mondo vasto e misterioso dei nostri desideri; per questo il digiuno ci fa paura. Il nostro mondo conosce il “digiuno” più come “dieta” che come strumento ascetico (e la “dieta” è cosa buona ed a volte doverosa ma è tesa a me: alla mia salute, alla mia estetica!) ed anche come “dieta” il digiuno è faticoso: è qualcosa che non solo tocca la nostra fame ma un mondo più vasto, un mondo fatto anche di cose indicibili ed inconfessabili, il mondo dei desideri. Il digiuno che chiede Gesù, smuovendo quel mondo nascosto, vuole far emergere un altro desiderio che pure misteriosamente ci abita, il desiderio dello Spirito Santo in noi, il desiderio di Lui che in noi “geme con gemiti inesprimibili” (cfr Rm 8,26). La verità è che noi abbiamo paura di quei “gemiti inesprimibili”  perché sappiamo che, benché ci abitino, essi esprimono uno slancio che contraddice l’uomo vecchio in noi, quello che vuole possedere e che per possedere è capace di passare sopra ogni compassione, quello che vuole essere signore di se stesso e vuole tutto il tempo per sé e perciò ha paura della morte che è limite al tempo e, per questa paura, come dice l’autore della Lettera agli Ebrei, è capace di essere cattivo (cfr Eb 2, 14-15), quell’uomo vecchio che mette in cima a tutti i suoi sforzi solo le proprie fami e i propri desideri per sé e per il proprio piccolo mondo. Vogliamo sempre evitare di passare per questa paura perché sappiamo che ci metterebbe davanti alle domande luminose ma scomodissime dell’uomo nuovo.

L’Evangelo di questo inizio di Quaresima, però, nel farci una domanda che pare di secondo piano, rispetto alle tre richieste di elemosina, di preghiera e di digiuno, ci apre ad una rivelazione grande che non possiamo non tener presente per poter arrivare alla Pasqua in modo sensato, in modo fruttuoso.

Gesù ci chiede di entrare nella Quaresima come si va ad una festa, con la gioia di chi va ad una festa; ci chiede, infatti: Quando digiuni profumati il la testa e lavati il volto. È richiesta che non vuole solo evitare le sceneggiate pie di chi si mostra sofferente per il digiuno per essere lodato dagli altri pii; sottilmente Gesù ci sta dicendo, poiché questo testo risuona al mercoledì delle ceneri in tutta la Chiesa, che la Quaresima è un pellegrinaggio verso la gioia pasquale.
La vita nuova che deve fiorire in noi a Pasqua (perché tale è il continuo movimento di ogni giorno della vita del credente: morte e risurrezione!) deve passare sempre nel paese delle nostre fatiche, paure e preoccupazioni; c’è una sofferenza inevitabile in cui l’uomo vecchio deve piegarsi e morire ma per accedere, se vuole, alla gioia profonda di Pasqua.

L’uomo vecchio, simbolicamente adombrato dalle ceneri che oggi ci vengono poste sul capo, è l’uomo caduco e fragile che la morte ghermisce (ed è bene che ce ne ricordiamo ricevendo le ceneri!) ma che non rimane nella morte, non rimane cenere.
La nostra cenere, infatti, sarà “impastata” a Pasqua con il Sangue dell’Agnello che ci ama “fino all’estremo” per ricrearci nella novità e nella gioia. La Pasqua ci dirà che i nostri peccati sono perdonati da quell’amore folle della croce; la cenere che oggi riceviamo è prodotta, infatti, dalla combustione dei rami d’olivo della scorsa Domenica delle Palme perché sappiamo bene che purtroppo i nostri “osanna” si sono trasformati spessissimo in “crucifige” e che le nostre proclamazioni della signoria di Cristo su di noi e sulle nostre scelte sono diventate tante volte cenere morta … però questa consapevolezza non è senza sbocchi, la luce brilla all’orizzonte e non è solo la luce della Risurrezione, è prima ancora la luce paradossale della Croce che ci racconta quanto siamo stati amati … così la Quaresima, come dicono bene i nostri fratelli delle Chiese d’oriente, è tempo di “radiosa tristezza” … la tristezza per i nostri peccati, per le nostre vili infedeltà è inondata dalla luce dell’amore … certo, un amore costoso con cui non si gioca, ma un amore capace di essere luce rigenerante per riprendere con forza il cammino verso il Regno!

La Quaresima, infatti, con le rinunzie che ci chiede, con il voltare le spalle a noi ed ai nostri possessi, ci pone dinanzi alle nostre paure, ai nostri peccati ed alla nostra cenere ma vuole essere attraversata, paradossalmente, dalla gioia. Benedetto, nella sua Regola (RB 49) dice ai suoi monaci che tutto ciò che si sottrae dai naturali desideri “cibo, bevande, sonno, chiacchiere, scherzi” è chiesto di farlo in attesa della “Santa Pasqua nella gioia di un desiderio spirituale”. Quello che si offre a Dio nella Quaresima – dice ancora Benedetto – sia offerto “nella gioia dello Spirito Santo”.

Che questa Quaresima di questo anno di Grazia sia cammino nello Spirito e dunque nella gioia, nella verità (anche quando sarà dura!) nella fatica gioiosa d’un esodo che ha davanti davvero la Terra Promessa!

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