Toscana, Umbria e Friuli i luoghi della migliore integrazione sociale
Le regioni che offrono agli immigrati le migliori condizioni di inserimento socio-occupazionale, quindi alti livelli di integrazione sociale, sono il Friuli Venezia Giulia, la Toscana e l’Umbria. Le province più virtuose sono invece Trieste, Prato, Reggio Emilia. Gli immigrati vivono meglio nei piccoli centri “a dimensione d’uomo”, dove i ritmi di vita sono meno frenetici e competitivi, i rapporti sociali meno anonimi, le relazioni umane più immediate e c’è meno burocrazia. E’ quanto emerge, in sintesi, dall’VIII rapporto sugli indici di integrazione sociale degli stranieri in Italia del Cnel, presentato oggi a Roma. La ricerca, curata dal Centro studi e ricerche Idos valuta il grado di attrattività di province e regioni sulla popolazione straniera e il livello complessivo di inserimento sociale e occupazionale degli immigrati. Tra le regioni, il grado maggiore di attrattività per incidenza numerica, densità e stabilità e appartenenza familiare è in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Lazio. Le migliori condizioni di inserimento sociale, che riguardano servizi di welfare (la casa e l’istruzione superiore) e il grado di radicamento nel tessuto sociale si registrano però in quattro regioni medio-piccole: Friuli (71,6), Umbria (70,5), Marche (69,0) e Trentino Alto Adige (67,4). Nelle province i valori più alti si rilevano a Trieste (69,9), Vicenza (69,8) e Palermo (69,6). Le città dove gli immigrati vivono peggio sono Napoli al 92° posto, Roma al 95°, Milano, Venezia al 98° e Torino al 99°. Riguardo all’accessibilità al mercato immobiliare, in Italia il costo d’affitto medio di una casa di 50 mq in zona periferica incideva, nel 2008, per oltre un terzo (35,4%) del reddito pro capite della popolazione straniera extra Ue a 15 Stati (circa 11.000 euro annui). Per gli italiani pesava poco più di un quinto (21,5%) sul reddito medio pro capite. I livelli di maggiore accessibilità al mercato delle locazioni da parte degli immigrati si registrano dunque in Friuli (22,3%), Marche (26,1%), Umbria (27,7%) e Molise (27,9%). Assolutamente “proibitivi” i costi medi di locazione nel Lazio (55,4%) e in Campania (51,9%). Il rapporto valuta anche la percentuale di figli di immigrati iscritti al liceo, un fattore che presuppone la continuazione degli studi a livello universitario, quindi un migliore inserimento socio-occupazionale della famiglia. Nelle regioni le più alte quote di liceali stranieri sono in Sardegna (35,4%), Campania (32,0%) e Trentino (30,3%). In coda il Veneto (13,7%) e l’Emilia Romagna (13,4%), perché “in queste aree la cultura del lavoro efficientista – osserva il rapporto -, sostenuta da concrete opportunità occupazionali e di guadagno, investe precocemente i giovani autoctoni e immigrati, ponendosi in alternativa al proseguimento degli studi superiori”. Occupazione in tempi di crisi: mentre il dato complessivo su tutti i lavoratori è negativo, con 93 assunti ogni 100 rapporti di lavoro cessati, l’occupazione degli immigrati ha tenuto: nel 2009 gli avviamenti al lavoro sono stati 1.356.301, a fronte di 1.342.205 rapporti cessati, con un saldo positivo di 101,1. Le regioni italiane che nel 2009 hanno offerto agli immigrati le migliori condizioni di inserimento occupazionale sono state: Toscana (69,7), Emilia Romagna (69,6) e Friuli (69,5), distaccando sensibilmente i tradizionali poli lavorativi di Lombardia, Veneto, Lazio e Piemonte. Un capitolo importante è l’imprenditoria straniera in Italia, un fenomeno “in costante crescita”: su un totale nazionale di 6.085.105 titolari d’impresa nel 2009, quelli di cittadinanza estera erano 216.382, pari al 3,6% del totale. Eccezionale è il caso di Prato, in cui gli imprenditori esteri (cinesi, nella fattispecie) rappresentano addirittura il 21,5% del totale locale. Acquisizioni di cittadinanza: con appena 22.869 casi nel 2009 di naturalizzazione dopo dieci anni di residenza continuativa, pari a 5,40 ogni 1.000 residenti stranieri, l’Italia conferma quanto i canali di acquisizione “fisiologica” della cittadinanza previsti dall’attuale legge (91/92), finiscano per rappresentare, denuncia il rapporto, “una strettoia oltremodo difficile da superare”. (fonte www.agensir.it)