Pronuncia della Consulta sulla cosiddetta “tassa della disgrazia”. Obbligava le Regioni colpite da calamità ad alzare le imposte.
La tassa sulla disgrazia, la norma che obbligava le Regioni colpite da calamità naturali ad alzare le imposte e le accise sulla benzina in caso di richiesta dello stato di emergenza, è incostituzionale. La sentenza con cui la Consulta ha bocciato una parte delle norme introdotte con la legge 10 del febbraio 2011, accelera la riforma della Protezione civile, chiesta a gran voce anche dal capo del Dipartimento Franco Gabrielli che nel corso di un’audizione alla Camera ha citato proprio quella legge come elemento che rende «ingestibile» l’emergenza poiché sottopone ogni atto al concerto del ministero dell’Economia e al controllo preventivo della Corte dei Conti.
IL RICORSO PRESENTATO DA SEI REGIONI. A ricorrere alla Corte Costituzionale erano state Liguria, Toscana, Marche, Abruzzo, Puglia e Basilicata. La Corte ha risposto loro con la sentenza numero 22 nella quale dichiara che le norme sono in contrasto con gli articoli 77, 119, 23 e 123 della Carta in quanto, imponendo «alle Regioni di deliberare gli aumenti fiscali per poter accedere al fondo di protezione civile, ledono l’autonomia di entrata delle stesse». Ma non solo: ledono anche «l’autonomia di spesa» perché obbligano le Regioni a «utilizzare le proprie entrate a favore di organismi statali (il servizio nazionale della Protezione civile) per l’esercizio di compiti istituzionali di questi ultimi».
NORME IN CONTRASTO CON L’ART. 77. Senza contare che l’aumento delle tasse «pesa irragionevolmente» sui cittadini colpiti dalla calamità, «con la conseguenza che le popolazioni colpite dal disastro subiscono una penalizzazione ulteriore». Cioé dopo il danno anche la beffa. Nella sentenza la Consulta sottolinea anche un altro principio: le norme contrastano con l’articolo 77 della Costituzione, che disciplina il ricorso del governo ai decreti legge. La violazione, infatti, consiste proprio nell’aver inserito nella conversione del Milleproroghe disposizioni sulla Protezione civile «del tutto estranee alla materia e alla finalità» del provvedimento. Il pronunciamento della Corte è stato accolto con grande soddisfazione dei governatori.
LA SENTENZA HA EFFETTO IMMEDIATO. Ma ora che succede? La sentenza è immediatamente esecutiva e dunque si torna alla norma precedente, quella che prevede che sia lo Stato, qualora accolga la richiesta di stato d’emergenza, a stanziare i fondi. Che però non ci sono: il fondo della Protezione civile è infatti a zero dal 2004. Le risorse si potrebbero prelevare dal fondo imprevisti del ministero dell’Economia, ma le norme della legge 10 rimaste in vigore stabiliscono che nel momento in cui quel fondo viene toccato, debba essere «obbligatoriamente reintegrato in pari misura». Come? «Con le maggiori entrate derivanti dall’aumento dell’aliquota sulla benzina». In pratica le Regioni non devono più alzare le tasse ma deve farlo lo Stato. Che con un solo centesimo di aumento incassa in un anno 500 milioni.
GABRIELLI CHIEDE UNA RIFORMA COMPLESSIVA. Ecco perché il capo della Protezione civile Franco Gabrielli è tornato a ribadire in Parlamento che è necessaria una riforma complessiva: «Fare un semplice restyling della legge 10 servirebbe a mettere una pezzetta, ma non risolverebbe il problema. Il sistema funziona solo se tutte le parti funzionano e se sono chiare catena di comando e governance». Gabrielli ha anche portato in Commissione una lettera che un anno fa, prima dell’entrata in vigore della legge 10, inviò a Berlusconi e Tremonti. Se passano le nuove norme, c’era scritto «è facile prevedere che questa riforma della Protezione civile rovinerà definitivamente un sistema organizzativo fino a oggi invidiato dal resto del mondo». È più o meno quello che è accaduto. (Fonte: Informazione libera).