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Tangentopoli: la lezione per l'oggi

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Dopo 20 anni: un bilancio onesto, guardare avanti e costruire progetti durevoli

I numeri sono difficili da definire con precisione: comunque ci sono state alcune migliaia di processi, circa 1.300 condannati. Il ventesimo anniversario dell’arresto di Mario Chiesa, che ha segnato l’avvio del terremoto giudiziario e politico di Tangentopoli è stato ricordato da due contrapposti convegni a
Milano, l’uno animato da Antonio Di Pietro, l’altro da Stefania Craxi. Non hanno fatto altro che confermare opposte letture di una vicenda comunque periodizzante. Tangentopoli tuttavia non è stato (solo) un fatto giudiziario. È l’elemento di discontinuità (insieme ai referendum) del sistema politico italiano, a poco più di due anni dalla la caduta del muro di Berlino. Il terremoto è durato un paio d’anni, ma lo “sciame sismico” di fatto continua fino ad oggi: da un lato perché il malaffare non è certo stato estirpato, come ha attestato la Corte dei Conti, dall’altro perché la questione dei rapporti magistratura – politica resta all’ordine del giorno. La politica, così come le generazioni, funziona per cicli ventennali. All’inizio degli anni Novanta sono stati messi in liquidazione tutti i partiti italiani e si è parlato di “seconda repubblica”. Oggi siamo nuovamente in una fase transizione. Ma nessuno si azzarda a parlare di “terza repubblica”. Proprio perché non esistono scorciatoie. E allora l’orologio del dibattito politico istituzionale sembra ritornato alla metà degli anni Ottanta, quando si è cominciato a porre il problema delle riforme istituzionali ed elettorali, così da sintonizzare il sistema politico italiano sulle nuove sfide di governabilità delle democrazie avanzate. A metà degli anni Ottanta i protagonisti, cioè i partiti e le loro classi dirigenti, come dimostrerà proprio Tangentopoli erano prigionieri di orizzonti sempre più ristretti e dunque incapaci di decidere. Saranno non a caso tutti travolti. Ma i problemi non saranno risolti. Oggi, smarrite le certezze che Tangentopoli sembrava volere assecondare, e per quelle forze politiche che l’hanno cavalcata si sono risolte in una clamorosa eterogenesi dei fini, siamo
ritornati alla casella di partenza, con la sola differenza che siamo tutti un po’ più poveri. I problemi politico-istituzionali sono ancora tutti lì. La lezione è dunque molto semplice. Bisogna cominciare con pazienza e determinazione ad affrontare e risolvere le questioni. Rinviarle o negarle non serve: prima o poi ritornano. E allora vale solo il lavoro e l’equilibrio istituzionale, la via della Costituzione e della sua riforma, nelle modalità che essa stessa suggerisce. Perché non esistono scorciatoie, giova ripeterlo, né uomini della provvidenza, o intemerati paladini della virtù: non è paradossale la rivalutazione della Dc e della cosiddetta “prima repubblica” cui si assiste in modo sempre più evidente anche se, ovviamente, indietro non si torna. Guardare avanti e costruire progetti durevoli impone di fare un onesto bilancio, cioè misurarsi con la storia, e nello stesso tempo avere chiari orientamenti di principi. Lo aveva scritto Giovanni Paolo II nell’Epifania del 1994, traendo le lezioni di Tangentopoli, e scommettendo sulle risorse dell’Italia e degli italiani per costruire nuovo sviluppo. È questa la strada giusta. Anche se richiede pazienza e sacrificio.  (fonte Francesco Bonini. www.agensir.it)

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