Giovani, famiglia e Mezzogiorno
Ci sono almeno tre asimmetrie da assumere e da riequilibrare, se si vorrà promuovere un’Italia più equa nel futuro. Questo è uno degli elementi da considerare a partire dal Rapporto sulla coesione sociale che tre enti – Inps, Istat e Ministero del lavoro – hanno elaborato e pubblicato recentemente. Un primo aspetto si coglie dal quadro socio-demografico, dove si conferma l’aumento dell’indice di dipendenza: il rapporto tra la popolazione attiva e non attiva (quelli con meno di 14 anni e con più di 65) “passa dal 45% del 1995 al 52,3% del 2011”, con una proiezione che porta l’indice al 84,7% nel 2050.
Siamo una popolazione che invecchia sempre più.
Per ora una prima misura è stata la posticipazione del pensionamento. Ma per un Paese in cui si fa fatica a nascere (1,41 figli per donna) e che ha un tasso di disoccupazione giovanile che oscilla intorno al 30%, la soluzione appare più che altro un prender tempo.Ci si chiede, invece, quando s’inizierà a investire sui giovani che non solo sono poco presenti nel mondo del lavoro, ma quando ci sono generalmente hanno contratti a termine e sono pagati molto meno: dalle retribuzioni dei contribuenti Inps, si legge nel Rapporto, le differenze delle paghe medie giornaliere sono evidenti: 54,80 euro per i 20-24enni contro i 101,40 euro per i 50-54enni. Una seconda asimmetria attraversa i nostri nuclei familiari e riguarda la conciliazione tra tempi di lavoro e tempi della cura. Purtroppo non si riesce ancora a ripartire in modo equo i compiti tra i generi. “Il 71,3% del lavoro familiare delle coppie è ancora a carico delle donne” ci dice il Rapporto. Si creano due disparità tra i generi: in un caso le donne occupate sono oberate d’impegni e dispongono di un’ora in meno di tempo libero rispetto ai loro mariti. Nell’altro caso l’impegno casalingo diventa un impedimento alla ricerca di lavoro remunerato per le donne, che sono considerate meno “disponibili” dei loro colleghi maschi. La terza asimmetria attraversa il territorio, marcando la distanza tra il Nord e il Sud del Paese. Il Rapporto denuncia che “le famiglie in condizioni di povertà relativa sono 2 milioni e 734 mila (l’11% delle famiglie residenti)”. Ma la quota più ampia delle persone che si trovano in condizioni di vulnerabilità economica si trova nel Mezzogiorno, dove la povertà relativa non scende mai al di sotto del 26% della popolazione, contro il 13,8% della media nazionale. Il Sud diventa il banco di prova per la vitalità economica del Paese, perché se l’Italia vorrà crescere non potrà più aumentare questo divario. Invece proprio il Sud potrebbe essere un’area-laboratorio per costruire un modello nuovo di sviluppo. Giovani, famiglie, Mezzogiorno: ecco le parole chiave per “ricucire la società italiana e offrire prospettive di futuro al nostro Paese”.
Andrea Casavecchia (www.agensir.it)