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Chiesa e Ici/Imu. La vera questione

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Mettere ordine ma non penalizzare istituzioni educative e caritative

Giustamente sulla questione dell’“esenzione dall’imposta Ici/Imu di cui beneficiano gli enti non commerciali”, il governo si è mosso con criteri tecnici, anche se il dibattito ha rischiato talora di avvitarsi, concentrandosi sullo slogan che “la Chiesa deve pagare l’Ici”: le norme ovviamente valgono per tutti. L’emendamento, che è in corso di approvazione al Senato, detta le nuove disposizioni secondo quattro criteri, accolti da un largo consenso. Si tratta, infatti, di mettere ordine nel settore e dare certezze alla Commissione europea per risolvere la procedura d’infrazione aperta nell’ottobre 2010. “L’emendamento determina effetti positivi sul gettito”, spiega il governo: e sappiamo, comunque, che per tutti l’Imu sarà assai più salata dell’Ici. Confermata l’esenzione per gli immobili nei quali si svolge in modo esclusivo un’attività non commerciale, sono abrogate le norme che prevedono “l’esenzione per immobili dove l’attività non commerciale non sia esclusiva”, per cui si passerà all’“esenzione limitata alla sola frazione di unità nella quale si svolga l’attività di natura non commerciale”. Non a caso nei giorni scorsi Bruxelles aveva dato un via libera preventivo. E nessuno aveva sollevato obiezioni sostanziali. Come aveva rilevato a caldo il portavoce della Cei, molto ovviamente dipenderà dalle norme attuative che saranno poi emanate. E su questo è bene essere chiari. A partire dalla definizione di “attività commerciale”. Qui, infatti, qualche preoccupazione ha cominciato a serpeggiare. Possono rientrare in questa categoria le scuole, gli asili, i convitti, in una parola le istituzioni della sussidiarietà, che sono in gran parte di matrice cattolica, ma non solo? Evidentemente sarebbe un impoverimento collettivo, con effetti a cascata sulla società tutta intera. Insomma, bisogna mettere ordine, ma, come ha riconosciuto un ministro, ovviamente “l’importante è che non si penalizzi il vero no profit nel rendere operativa una norma su cui l’accordo è così ampio”. Sarebbe, infatti, del tutto contraddittorio colpire le istituzioni della sussidiarietà, soprattutto in tempi come questi. Come ha spiegato al Sir il professor Dalla Torre il principio è quello, già presente nel nostro ordinamento, che distingue tra enti e attività profit e no profit. Non è detto che questi ultimi non chiedano un compenso, ma diversa è la finalità a cui questo è diretto. Quando si erogano servizi, ovviamente il denaro circola, ma distinguere è possibile e facile. Mettere ordine in questo settore, di fronte ad abusi sempre in agguato, è un interesse collettivo, così come lo è salvaguardare il principio e valorizzare l’impegno per la collettività. La questione insomma non è “far pagare l’Ici alla Chiesa”, che peraltro già la paga secondo le norme correnti. Si tratta piuttosto di chiarire le norme in ordine alla concorrenza. Proprio con l’occhio rivolto a Bruxelles, che, piaccia o no, è ormai un riferimento obbligato di molte delle scelte di politiche pubbliche. D’altra parte, neppure quelle (esigue) forze che pure ripetono vecchi slogan si guardano bene dal sostenere la necessità o l’opportunità di tassare le istituzioni educative e caritative. Che invece è interesse di tutti sostenere e promuovere, per il bene comune.
Francesco Bonini (www.agensir.it)

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