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Magliocca, sindaco accusato di associazione camorristica e poi prosciolto, racconta a Clarus la sua odissea

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di GIANFRANCESCO D’ANDREA (pubblicato su Clarus n.3-2012)

Giorgio Magliocca, già sindaco di Pignataro Maggiore, accusato di concorso esterno in associazione camorristica, e’ stato assolto con formula piena dopo dieci mesi di detenzione cautelare

In un bar di Pignataro Maggiore, un sabato pomeriggio di inizio marzo,  la temperatura è ancora sugli standard invernali e Giorgio Magliocca, già sindaco del paese, dopo otto mesi di custodia cautelare in carcere e due ai domiciliari, torna a sorridere. Entrano avventori nel bar, che interrompono di continuo l’intervista: è una raffica di abbracci e di strette di mano. Una domanda ricorrente: “Quando ritorni sindaco”? E lui, Giorgio Magliocca, sorriso aperto e sguardo dritto negli occhi dell’interlocutore, alza le spalle e risponde: “Non lo so. Vedremo”.  Avvocato, trentasei anni, consulente del sindaco di Roma Gianni Alemanno, figura di primo piano nella lotta alla camorra in Terra di Lavoro, Magliocca viene raggiunto l’undici marzo del 2011 da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Napoli, su richiesta del pubblico ministero Giovanni Conzo. Agli uomini della squadra mobile di Caserta che gli intimano di seguirlo, quella mattina, chiede solo il perché dell’arresto. E la risposta è un lampo a ciel sereno: concorso esterno in associazione camorristica.

Che sensazione provò, quella mattina? Di assoluto stupore. Non sapevo neanche di essere indagato e quindi, anche alla luce del mio impegno anticamorra, mi venne spontaneo chiedere ai poliziotti come mai proprio io, che avevo combattuto fino al giorno prima contro i clan della zona. Ero persino preoccupato di poter subire ritorsioni. Ricordo che, quando suonarono al citofono, dissi a mia moglie di star tranquilla. Scesi alla porta, ma avevo il cuore in gola. Aprii agli agenti e cominciò la mia odissea giudiziaria.

foto Internet

L’accusa si basava su una serie di ricostruzioni che il suo difensore, Mauro Iodice, ha smontato pezzo per pezzo… Sì, i pm che hanno chiesto il mio arresto mi ritenevano al centro di un accordo politico-mafioso con gli uomini dei clan Lubrano e Ligato. In cambio dell’appoggio elettorale, secondo i pm, avrei assicurato, in primis, una gestione indolore dei beni confiscati dallo Stato alla camorra, durante il mio mandato.

Secondo l’accusa, però, lei si sarebbe impegnato anche per sbloccare alcune pratiche relative a concessioni edilizie destinate ai clan…Fui anche accusato da un pentito, Giuseppe Petrone, di aver incontrato il boss Pietro Ligato, che teneva le redini del clan, e di aver cenato, inoltre, con il boss Lubrano presso un ristorante di Bellona.

Ci sono voluti diversi mesi per smontare il castello delle accuse. Cosa avete dimostrato durante il suo periodo di detenzione in carcere? Prima di tutto, la difesa ha dimostrato che non c’è stata alcuna cena tra me e il boss Lubrano. E, a proposito del mio presunto incontro con il boss Ligato, che secondo l’accusa sarebbe avvenuto nel maggio del 2006, abbiamo dimostrato che lo stesso Ligato, dall’ottobre del 2004 al luglio del 2006 era in carcere, quindi era del tutto impossibile che io mi incontrassi con lui, affinché mi garantisse un sostegno durante la campagna elettorale. Inoltre, in merito alla questione della concessione edilizia che io avrei dovuto agevolare, non risulta agli atti del Comune alcuna richiesta pervenuta dalla famiglia Ligato.

Anche per quanto riguarda l’utilizzo a scopo sociale dei beni confiscati, la difesa ha dovuto dimostrare l’esatto contrario di quanto sosteneva l’accusa… Abbiamo dovuto dimostrare, ad esempio, che prodotti agroalimentari come i paccheri di don Peppe Diana o i succhi di frutta della legalità, noti a tutti, erano stati realizzati nei beni confiscati concessi al Comune di Pignataro Maggiore. Fatti facilmente dimostrabili, perché quelle iniziative sono sempre state reali.

C’è, poi, la vicenda dell’elenco di arredi e suppellettili redatto dal curatore dei beni confiscati… Il curatore che dal 1997 aveva avuto in custodia i beni confiscati, redasse questo elenco di beni da restituire alla famiglia Ligato. Un adempimento del quale io non avevo alcuna responsabilità: non stava a me, in quanto sindaco, decidere cosa restituire alla famiglia Ligato e cosa no. Questa era competenza esclusiva del curatore. Invece, anche questo fu argomento dell’accusa: una mia presunta negligenza rispetto a quell’elenco, una posizione troppo blanda verso i clan, ma io non avevo alcuna competenza in materia. Anzi, entrai in contrasto con il curatore proprio per questo motivo, perché ritenevo quell’elenco da lui redatto assolutamente non in linea con la lotta alla camorra, troppe concessioni, troppe restituzioni ai clan.

Così come per la vicenda del pescheto? In quel caso rilevai più volte che, a mio giudizio, su quel terreno la camorra estendeva ancora la sua longa manus. Invitai, allora, i vigili urbani, a più riprese, ad effettuare dei sopralluoghi, ma dai rapporti di servizio non mi veniva segnalata alcuna anomalia. Cosa avrei dovuto o potuto fare di più?

foto Internet

Veniamo alla vicenda processuale vera  e propria. Il Gip prima e il Riesame poi hanno sempre respinto le istanze di scarcerazione. Fino all’intervento della Corte di Cassazione. Ma nel frattempo erano già trascorsi diversi mesi di detenzione in carcere… La Cassazioneha annullato con rinvio l’ordinanza di custodia cautelare, il Tribunale del Riesame, quindi, si è riunito nuovamente e ha disposto la scarcerazione, finalmente, a gennaio di quest’anno. Ma dal mese di novembre del 2011 avevo già ottenuto l’attenuazione della misura cautelare, con la concessione degli arresti domiciliari.

Infine, il 20 febbraio 2012, la sentenza del Gup Edoardo di Gregorio… Il Gup mi ha assolto con formula piena, perché il fatto non sussiste, e sono tornato in libertà, dopo dieci mesi di ingiusta detenzione.

Quali tracce lascia una detenzione così lunga e subìta ingiustamente, senza che vi sia stata una sentenza di condanna e con un epilogo processuale che, invece, ha certificato la sua innocenza e la sua totale estraneità alle accuse? La detenzione in sé è l’unica cosa che ti fa soffrire, che tu sia colpevole o no. In Italia viviamo uno stato di degrado e io sono dalla parte dei Radicali nella loro battaglia in tal senso, perché la situazione è davvero mortificante. Mi impegnerò in prima persona, d’ora in avanti, per sensibilizzare anche il Pdl ad un’assunzione di responsabilità in questa direzione. I cittadini, tutti, devono conoscere le condizioni di detenzione di chi è recluso e si ritrova a vivere quotidianamente in sette metri quadrati con altri due detenuti. La cena viene servita alle 3 del pomeriggio. Il principio della funzione rieducativa della pena e del rispetto del detenuto sono valori sanciti solo sulla carta.

Ora che la vicenda processuale è conclusa, lei ha ricominciato la vita di sempre. Da qualche giorno è tornato a lavorare nello staff del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, come consulente? Sì, e ne sono felice. Quel che cerco, in realtà, è la tranquillità, devo trasmetterla nuovamente alla mia famiglia, a mia moglie Stefania e ai miei bambini, Luigi e Raffaele, che ho tenuto lontani e all’oscuro da questa assurda vicenda. Ritengo di essere stato ingiustamente strappato alla politica attiva, nonostante il mio impegno contro la camorra, così forte e evidente da smentire le accuse che mi sono state rivolte.

Deluso dallo Stato e dalle Istituzioni, lei, uomo dello Stato? Al di là della detenzione, che resta un dramma, lo Stato ha comunque dimostrato  di possedere gli anticorpi per smascherare i complotti:la Magistraturami ha rimesso in libertà, ciò vuol dire che lo Stato, nonostante un primo sbandamento, è riuscito a vedere giusto e io continuo a sentirmi uomo dello Stato.

Cosa la ha sorpreso, sul piano umano? Chi le è stato più vicino nei momenti più cupi, oltre alla sua famiglia? Devo riconoscere che c’è stata una grande solidarietà umana in difesa della mia persona, anche da parte di politici e amministratori della cosa pubblica. Mi hanno certamente ferito affermazioni come quelle rilasciate dalla parlamentare Pina Picierno, prima ancora della sentenza di assoluzione. Ma anche ad assoluzione avvenuta, le sue esternazioni hanno continuato a ferirmi. Credo che oggi, in politica, ci sia bisogno di maturità e responsabilità istituzionale. Purtroppo siamo in presenza di storture che derivano da questo sistema elettorale, che va cambiato perché, oltretutto, favorisce soltanto chi ha amicizie importanti a Roma, porta avanti campagne populiste e si ritrova in Parlamento senza una reale consapevolezza del proprio ruolo. Però sono stato felice quando, dopo la mia assoluzione, mi ha telefonato il segretario regionale del Pd, Enzo Amendola. La sua telefonata ha cancellato, in un certo senso, tutte le ferite giunte dalle dichiarazioni di altri esponenti del suo partito.

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 Cosa la ha amareggiato di più? Dover costatare che la mia vicenda veniva strumentalmente utilizzata per attaccare Mario Landolfi e Gianni Alemanno, di cui sono stato e continuo ad essere, oggi, consulente. Tutto ciò denota un livello qualitativo della politica aberrante, per quanto è basso. Manca una vera palestra di formazione per chi fa politica, una palestra che insegni a saper analizzare i fatti e il territorio in maniera equilibrata, una palestra che tenga lontana la logica del fango infamante delle accuse per neutralizzare l’avversario.

Come continuerà il suo impegno anti camorra? Io continuo a pensare che questa guerra vada combattuta insieme, la politica non può e non deve dividersi, le Istituzioni, tutte, devono restare compatte. E’ una battaglia comune: se lo Stato, nelle sue articolazioni, si spacca, la camorra ha già vinto. Invece una speranza casertana è possibile, si può creare un filo rosso in grado di creare una seria riscossa per questa terra. Penso che dalla incredibile esperienza processuale che ho vissuto, la mia immagine di sindaco anticamorra sia uscita rafforzata. Quando intravedi uno spiraglio di luce, inevitabilmente ti aggrappi ad esso, come ad un’ancora che ti riporta a una boccata d’ossigeno, giunta proprio nel momento in cui stavi soffocando. Oggi che sto recuperando la mia antica serenità, ho riscoperto in molti miei avversari politici un grande spessore umano. Il mio rapporto con alcuni di loro è cambiato, c’è più rispetto, più stima. Ecco, io voglio ripartire esattamente da qui.

7 COMMENTI

  1. Più che un commento mi viene da fare una riflessione: è possibile che un cittadino, senza sapere di essere indagato e, quindi potersi difendere ed eventualmente discolparsi, debba passare dei giorni chiuso in carcere – nel caso specifico senza colpe – e, solo quando chi ha indagato (!) …… mette a disposizione le carte, consentendo finalmente di confutare e smontare un castello di accuse fondato su niente?
    Fortunatamente, lo Stato, come dice lo stesso Magliocca, ha gli anticorpi per poter correggere gli iniziali sbandamenti. Che Dio ce la mandi buona!!!!

  2. Ma il giudizio di appello è stato già celebrato e anche in secondo grado Magliocca è stato assolto? O a lui è stato fatto uno sconto?
    Aspettiamo l’appello e quindi la sentenza definitiva, che è meglio.
    Intanto, brindiamo tutti con Acqua Lete, D’Andrea.

  3. Spettabile “Comitato”,
    Secondo la legge italiana un cittadino è da considerarsi colpevole dopo essere stato condannato nel terzo grado di giudizio. Quindi studia un pò i principi del nostro ordinamento e brinda pure a spumante quando un uomo e un Sindaco onesto come Magliocca che nel nostro paese ha combattuto veramente e confiscato i beni alla camorra viene riconsociuto come tale anche dalla Giustizia!

  4. Non entro nel merito dell’intervista ma mi preme sottolineare un dato importante. A Pignataro Maggiore non risulta costituito nessun comitato anticamorra e non sono io a dirlo ma un’informativa dei Carabinieri della Compagnia di Capua.

    Di seguito riporto il link dove la si può leggere
    http://www.comunedipignataro.it/modules.php?name=News&file=article&sid=16396

    Quanto sopra perchè dietro quella sigla ci si può nascondere chiunque, anche qualche componente della malavita organizzata.

    Grazie

  5. a dir la verità il presunto comitato anticamorra, che i carabinieri di Capua con una informativa definiscono inesistente, sulla vicenda Magliocca non ha aspettato neppure la sentenza di primo grado prima di sparare sentenze. Rileggete i comunicato del dopo 11 marzo 2011 e mi darete ragione. A me, comunque, risulta che nel procedimento in questione la Cassazione abbiamo emesso una sentenza ed abbia affermato che dalle carte non emergono i cd. “gravi indizzi di colpevolezza”. Figuriamoci, ora, se dalle stesse carte possa uscire “una prova”.. studiate, studiate…

  6. Rispondo agli anonimi lettori del Comitato anticamorra con una semplice considerazione: proprio perché sul caso Magliocca manca una sentenza definitiva, richiamiamo anche la vostra attenzione sull’istituto della custodia cautelare. La presunzione di non colpevolezza non è un principio restrittivo della libertà, ma ha valenza e funzione garantista. Quindi, un cittadino al quale sia privata la libertà per così lungo tempo, pur essendo ancora innocente, diventa vittima della giustizia. Vi invito a riflettere sugli elementi basilari della procedura penale e sui principi fondanti della Costituzione italiana. Quanto ai brindisi, sono solito farli con gli amici più stretti e con i miei familiari. Gianfrancesco D’Andrea, giornalista e direttore responsabile Clarus.

  7. Pare proprio che sia stato davvero concesso lo sconto, perchè il giudizio di appello ci sarà solo se il pm farà appello, cosa improbabile visto che il “fatto non sussiste”….

    Il fatto non sussiste significa che non c’è nememno un reato, non che ci sia un reato per il quale non si è individuatro un colpevole…

    Bisogna vcedere chi ha architettato questa storia per mettere nei guai una persona che ha contrastato la camorra, poichè non è peregrino pernsare possa trattarsi di qualche colluso con la camorra.

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