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XXV Aprile. La libertà degli umili

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La memoria di un popolo come laboratorio di futuro

“La peggior minaccia per la libertà non sta nel lasciarsela togliere: perché chi se l’è lasciata togliere può sempre riconquistarla, ma nel disimparare ad amarla o nel non capirla”. Questo pensiero di Georges Bernanos apre un libro-testimonianza del vescovo Enrico Assi dal titolo “Cattolici e Resistenza”. E’ il racconto di chi, vissuta quell’esperienza lacerante, chiede alla memoria di non ridursi a ricordo ma di diventare laboratorio permanente di pensiero e di impegno.
Le ricorrenze, come il XXV Aprile, non si consumano nello scorrere di ventiquattro ore, sono cartelli indicatori sulla strada della vita delle persone e dei popoli. Non si possono divellere.

 Rileggere e ripensare una data storica è un esercizio controcorrente rispetto a un’ informazione che spesso non riesce a tenere insieme velocità e contenuto. Anche il 67° anniversario della Liberazione corre il rischio di venire travolto dal torrente delle parole, delle immagini e dei rumori.
D’altra parte, in un momento di incertezza e di preoccupazione straordinari, un evento come la Resistenza può ancora suscitare domande, pensieri e progetti? Può interrogare la coscienza, può rompere la crosta dell’indifferenza, della rassegnazione, dell’ egoismo? Il XXV Aprile dice ancora qualcosa alle nuove generazioni? Dopo sessantasette anni i racconti di quella terribile e straordinaria avventura non appaiono fuori luogo? Nel richiamarli si avverte il rischio di finire ai margini della cronaca.
Tuttavia sostare per qualche tempo ai bordi delle notizie e dei dibattiti mediatici consente di ritrovare il filo che attraversa e unisce le diverse stagioni della storia e della cronaca di un Paese. Questo filo è fatto soprattutto dai volti di gente laboriosa, onesta. Gente umile che si è sacrificata nella Resistenza e nella Ricostruzione perché le nuove generazioni potessero avere libertà e lavoro.
Enrico Assi, un prete che ebbe il coraggio di opporsi con molti altri suoi confratelli alla violenza nera e rossa di quei tempi, scriveva: “I veri protagonisti furono gli umili.(…) Sono ancora queste persone che nelle difficoltà dell’ora presente, nella fedeltà ai valori perenni della fede riverseranno nel tessuto della nostra società inquieta e turbata la linfa nuova del rinnovamento”.
Gli umili, i grandi dimenticati dai potenti, sono oggi la forza di un Paese libero e chiamato a resistere a una crisi che chiama in causa responsabilità culturali, politiche ed economiche. Negli umili non c’è assenza di domande e di giudizi severi. Non c’è un complesso di inferiorità ma c’è la fierezza di chi ha la coscienza vigile e libera. In loro c’è una ribellione silenziosa, ma non per questo inefficace, alla violenza dell’ingiustizia e della menzogna .
È probabilmente azzardata la citazione di ”Ribelli per amore” , la preghiera di Teresio Olivelli che ispirò i cattolici nella lotta di Liberazione ma non è azzardato dire che anche quella degli umili di oggi è una ribellione per amore: amore per la verità, la libertà, la giustizia e la pace. Non è quasi mai raccontata dai media ma è scritta nelle scelte quotidiane di tanta gente che non ha rinunciato alla fatica del pensare e che tiene in piedi il nostro Paese.
In questo contesto il filo che unisce il XXV aprile 1945 al XXV aprile 2012 ravviva il pensiero di Bernanos: “La peggior minaccia per la libertà non sta nel lasciarsela togliere: perché chi se l’è lasciata togliere può sempre riconquistarla, ma nel disimparare ad amarla o nel non capirla”.
Paolo Bustaffa 

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