Mario Pece, regista e visual effect artist. Da Alife a Los Angeles: Clarus racconta la sua storia dopo una lunga chiacchierata
Di seguito un estratto dell’articolo pubblicato su Clarus 7-2012
Classe 1989, dopo il Liceo si concede un tempo per pensare, poi tenta e ritenta finchè riesce ad essere quello che è oggi. Nel 2009 tenta l’ingresso alla New York Film Accademy di Roma, una delle più importanti scuole di cinema a livello mondiale, ma la “crisi” italiana impedisce l’avvio dei corsi e l’invito è tentare direttamente a New York. «Otto settimane intense – racconta – in cui mi sono cimentato in preproduzione, riprese, scrittura, postproduzione». Quando Clarus lo contatta tramite Skype sono le 8.20 del mattino, lui invece (che oggi vive a Los Angeles) è sul punto di andare a dormire dopo una giornata no stop, mentre dalle cuffie di questa telefonata si sente volare una sirena della polizia, di quel suono a noi noto solo attraverso i film.
(…)
«Dall’Italia mi sono fatto spedire il mio vecchio pc, che ancora conservo, e senza che la speranza mi abbandonasse mai, ho guardato avanti». Presso la scuola conosce Helena Hilario, nota produttrice brasiliana, con cui oggi condivide la vita e il lavoro. Insieme si lanciano in un progetto cinematografico dietro l’altro fino ad ottenere la fiducia e il consenso della G8 Entertainment, la casa produttrice brasiliana che oggi ha affidato ai due giovani (partners dei brasiliani a tutti gli effetti) la “gestione” del proprio spazio professionale ad Hollywood.
Poi il trasferimento a Los Angeles è ugualmente sofferto: «Sapevo di dover ricominciare tutto, ma il sogno di entrare ancor più in profondità in questo meraviglioso mondo non mi ha mai abbandonato». Parte il lavoro alla Ingenuity Engine ma poi la fortuna arriva ad Alcatraz.
Si, stiamo parlando della inespugnabile (o presunta tale) isola, sede di uno dei più temuti penitenziari fino a qualche anno fa, oggetto di difficili set cinematografici. Difficili, perché – come spiega Mario – girare ad Alcatraz non è impossibile, ma quasi. Una giornata come tante, in compagnia di amici, in gita su quell’isola, serve a stuzzicare la fantasia. L’unico battello che fa la spola tra la prigione e San Francisco terminerà la sua corsa prima del tramonto: “E cosa accadesse se perdessimo l’ultima barca da Alcatraz?”. La risposta prende corpo nella realizzazione del cortometraggio The Last Boat to Alcatraz.
(…)
Alcatraz rimane lì finchè una semplice chiacchierata con la G8 del Brasile si trasforma nella grande occasione. Riprese tutte da rifare, set da rimontare, sceneggiature da riscrivere: The Last Boat to Alcatraz diventa un film di cui Mario Pece firma la regia, e tra meno di un anno verrà distribuito in Europa.
«Ma io sono rimasto quello di prima!» esclama a un certo punto della telefonata (nella sua notte californiana). Parla di speranza, di sacrificio, di creatività, di studio (perché si è rimesso a studiare la matematica del Liceo “Mi serve per il lavoro”), di responsabilità, di intuito, di collaborazione professionale, di rispetto… «Vivo una realtà completamente nuova e diversa dove ricchezza e povertà sono le facce della stessa medaglia che continuamente si combattono tra loro, eppure da “straniero” colgo un gran rispetto per il sacrificio di chi lavora e onestamente cerca di rifarsi una vita. Il lavoro, di chiunque, è rispettato e riconosciuto per quel che vale: questo non fa altro che stimolare a fare meglio ogni giorno…». Sarebbe ora di tornare a letto. La mezzanotte californiana è passata da un pezzo…