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Il Ramadan dei fratelli musulmani. Il racconto

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Sguardo su un mondo vicino ma spesso sconosciuto. A Dragoni due chiacchiere con la famiglia Berraho

Ieri, primo giorno di Ramadan per il mondo islamico. Dal 20 luglio al 18 agosto, i fedeli musulmani osservano uno dei precetti fondamentali della loro religione che impone di astenersi dall’alba al tramonto dal mangiare, dal bere, dal fumare e dal dedicarsi ad attività sessuali. Il Ramadan (che significa “mese caldo”) si celebra il nono mese dell’anno secondo il calendario musulmano. Esso rappresenta uno dei cinque pilastri fondamentali dell’Islam  (la testimonianza di fede, le preghiere rituali, l’elemosina canonica, il digiuno durante il mese, il pellegrinaggio a La Mecca almeno una volta nella vita). Di fatto corrisponde al periodo in cui fu rivelato il Corano come guida per gli uomini. Agli osservanti è consentito consumare un piccolo pasto serale chiamato iftar dopo una preghiera che interrompe il digiuno fino al mattino successivo.
La presenza islamica in Italia è molto varia: provenienze ed etnie diverse tra loro si sono integrate nel nostro paese a partire dalla fine degli anni ’60 con una certa regolarità.
In Alto Casertano la presenza più numerosa e costante riguarda le piccole comunità marocchine: dapprima solo uomini, mentre negli ultimi 15-20 è cresciuto il numero di famiglie al completo ormai stabili sul territorio.
Mohamed Berraho a marzo ha compiuto 18 anni. Vive a Dragoni con il papà Abdeslam, la mamma Nadia, una sorella e un fratello più piccoli. Tra non molto sarà cittadino italiano (“Seppur sia nato in Italia” ci fa notare) e tramite lui sarà più semplice anche per la madre e il padre ottenere la cittadinanza.

Alle 17.00 in casa già si prepara per il pasto che avverrà dopo il tramonto, “Ma solo dopo aver pregato” spiega Nadia. Intanto la radio sta già trasmettendo la preghiera del pomeriggio. “Il mio primo Ramadan l’ho fatto che avevo 13 anni. Ho chiesto ai miei genitori di provare e loro hanno acconsentito: a giorni alterni ho osservato il digiuno, era pur sempre la prima volta. Alla difficoltà iniziale però si è sostituita tanta buona volontà ”. Per gli adulti invece il Ramadan ha un altro valore, per quanti si portano ancora dentro il sapore e i colori di una terra lontana, delle tradizioni, della preghiera comunitaria, è il ritorno alla purezza, ad una nuova vicinanza con Allah. “E’ un mese meraviglioso che aspettiamo per tanto tempo – racconta Nadia. La casa si riempie di una gioia nuova”. Ci tiene a spiegare che non si tratta di una penitenza, o di un motivo di sofferenza e sacrificio: “E’ il mese della carità e del perdono. Non che essi siano esercizi solo di questo periodo, ma è adesso che lo viviamo in maniera più intensa. Ramadan vuol dire rivestirsi di tanta umiltà e praticare un maggiore rispetto verso gli altri”. Il digiuno durante le ore del giorno purifica anche il corpo, alleggerendolo del superfluo, permettendo a chi lo pratica di recuperare anche una tempra fisica necessaria al proprio benessere. Il racconto è accompagnato da un entusiasmo e un sorriso liberi e incondizionati, così come pieno di vita e raccoglimento è il racconto sul profeta Maometto o sulle libertà che questa religione garantisce: “Gli ammalati non possono praticare il Ramadan, ma per loro il mese diventa un gesto di carità in più verso i poveri e quanti non hanno cibo”.
Al tramonto si riuniranno in preghiera, poi come indicato dal profeta Maometto, berranno un bicchiere d’acqua e mangeranno un dattero. Poi gradualmente riprenderanno il pasto. Dopo, ancora preghiere e la lettura del Corano. Prima dell’alba ci sarà lo sohor: Nadia sveglierà tutta la famiglia per la preghiera e la colazione e poi ancora digiuno fino al tramonto successivo. In famiglia i due figli più piccoli hanno chiesto di partecipare, di provare: “Sono stati loro a proporsi – spiega Abdeslam – ma se vorranno interrompere non ci sarà alcun problema”. Non solo Ramadan. Hanno voglia di raccontarsi un po’, di essere ascoltati, di confrontarsi con i fratelli italiani ed è proprio la parola fratello che torna di continuo a sancire un legame che “è da sempre”, ricorda Nadia. “Se crediamo che all’inizio ci sono stati solo Adamo ed Eva – precisa Abdeslam – non possiamo non essere fratelli”. Le leggi di questo Paese, il lavoro, la solitudine di tante donne marocchine, lo studio dei figli: si parla di tutto e per molte cose si chiedono spiegazioni e soluzioni.
In questa casa le differenze non sembrano far paura, anzi sono una possibilità in più di scambio: “Un giorno davanti a Dio parleremo tutti la stessa lingua”.
Nadia continua a sorridere. E con lei Abdeslam e Mohamed.

(gb)

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