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Onu. 2014, Anno internazionale dell'agricoltura familiare

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La famiglia rurale è viva. Ma quali problemi?

Nel mondo più di 2 miliardi e mezzo di persone vivono grazie all’agricoltura. Ma sono anche la maggior parte del miliardo e venti milioni di persone che soffrono la fame (dati Forum rurale mondiale, 2010). Per dare risposte concrete ai problemi e alle aspettative delle famiglie e comunità rurali il 22 dicembre 2012 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2014 Anno internazionale dell’agricoltura familiare (Iyff). Per la prima volta nella storia, un anno internazionale è stato promosso dalla società civile, grazie a una campagna (www.familyfarmingcampaign.net) iniziata nel 2008 da oltre 350 organizzazioni di 60 Paesi, che rappresentano famiglie e comunità di contadini, pescatori, popoli indigeni. Patrizia Caiffa, per il Sir, ne ha parlato con Vincenzo Conso, segretario generale dell’Icra (International Catholic Rural Association), ente con personalità giuridica di diritto canonico che ha sede a Roma nel palazzo San Calisto (territorio vaticano). Un’associazione di associazioni, composta da circa 60 organizzazioni in Europa, America, Asia e Africa.

 Perché l’Onu ha scelto il tema della famiglia rurale per il 2014?
“C’è stato un vasto movimento di opinione, portato avanti soprattutto dal Forum rurale mondiale. Questi temi sono stati richiamati in vari appuntamenti della Fao, che più volte ha sottolineato la richiesta di strategie nuove per l’agricoltura familiare. Anche il magistero della Chiesa torna spesso sul tema”.

 L’agricoltura familiare è diffusa in tutto il mondo. In quali zone è più importante?
“L’agricoltura familiare esiste ovunque ma soprattutto in Asia, Africa e America Latina, dove ha pochi e inadeguati mezzi di sostegno per lo sviluppo”.

 Quali problemi devono affrontare le famiglie che vivono grazie all’agricoltura?
“Innanzitutto la difficoltà di accesso, a prezzi equi, alle risorse per la produzione: terra, acqua, sementi di qualità, attrezzature. In attesa di riforme agrarie che non arrivano, le piccole aziende familiari, gli indigeni e i pastori, sono colpiti da acquisizioni forzate della terra, il cosiddetto <i>land grabbing</i>, come in Brasile o in Africa. Si creano grandi domini terrieri per coltivazioni destinate all’esportazione. C’è poi una spirale crescente di lavoro precario giornaliero, un esodo rurale dalle campagne verso le città, che crea nuove forme di povertà urbana. Poi c’è l’invecchiamento della popolazione rurale, la scarsa integrazione dei giovani nell’agricoltura, il riconoscimento effettivo del ruolo delle donne in agricoltura. Pensiamo, ad esempio, all’Africa, dove le donne lavorano la terra e consegnano il raccolto al marito che vende secondo criteri suoi. Poi c’è l’insufficiente partecipazione degli agricoltori e dei pescatori nella formazione delle decisioni delle politiche che li riguardano. Problemi più grandi sono gli effetti negativi dei cambiamenti climatici e la mancanza di accesso ai servizi per la commercializzazione, l’informazione, il credito. L’indifferenza delle figure d’intermediazione della catena alimentare, lo scarso accesso ai servizi educativi e sanitari e la mancanza totale di attrezzature, infrastrutture, servizi di base”.

 In Italia c’è un ritorno dei giovani nelle campagne. La quota delle famiglie rurali era del 55% negli anni Novanta, è salita al 56,2% nel 2009. Ma le difficoltà sono tante…
“Sì è vero. Nelle ultime stime l’agricoltura è ancora il settore che riesce a dare lavoro, con tutti i problemi che ne conseguono. Innanzitutto la burocrazia, che rende difficile creare un’impresa. Ma anche il problema della filiera, che non è completa. Se ci si affida alla grande distribuzione si fa fatica ad avere un guadagno consono e giusto. Poi bisogna mettere in rete tutte queste piccole aziende per soddisfare meglio tutte le esigenze. Su questo punto c’è ancora bisogno di un cambiamento di mentalità”.

 Formule nuove come i gruppi di acquisto solidali o la vendita diretta dal produttore al consumatore, saltando le mediazioni, possono aiutare le famiglie di agricoltori?
“Sì, questa è una politica che sta portando avanti anche la Coldiretti. Finora viene valutata molto positivamente, c’è uno sviluppo forte del settore. Importante è costruire una filiera completa, che consenta di rifare tutti i passaggi senza perdita di tempo e di energia”.

Quali auspici in vista dell’Anno per l’agricoltura familiare? Cosa farete come Icra?
“Speriamo che l’Anno per la famiglia rurale possa far emergere tutti questi problemi, tenendo presente che l’agricoltura familiare è la più grande fonte di lavoro nei Paesi in via di sviluppo, oltre a essere la base sociale con cui il diritto al cibo dovrebbe diventare una realtà, come riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Come Icra stiamo proponendo, nei vari continenti, una serie d’iniziative per identificare le diverse aree di lavoro e definire meglio gli attori e i destinatari. Per il 2014 stiamo pensando a una grande iniziativa che metta insieme tutte le riflessioni, collegando meglio la società civile con la Fao. Faremo delle proposte facendole emergere dal basso”.

Fonte Agensir

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