È un errore politico leggere i risultati elettorali come un referendum sui partiti tradizionali, perché sette italiani su dieci li hanno votati. Eppure, faticano a rischiare un’alleanza per dare un governo al Paese
di Domenico Delle Foglie, direttore del SIR
Se ci avessero avvertito che le elezioni politiche sarebbero state un referendum sui partiti e sulla forma partito ci saremmo attrezzati alla bisogna. Ma così non è stato, anche se una lettura deformata e interessata dei risultati elettorali sembra dare ragione a quanti hanno fatto dell’antipolitica la bandiera con la quale dare l’assalto ai Palazzi romani. Un’analisi più lucida e realistica, invece, ci riconsegna una realtà molto più chiara. Sicuramente da valutare a mente fredda. Innanzitutto va detto che sette elettori su dieci hanno votato i partiti tradizionali (Pd-Pdl) o un partito nuovo di zecca (Scelta civica). Due elettori e mezzo hanno scelto un non partito come il Movimento Cinque Stelle (M5S), forte di un risultato elettorale persino migliore della Lega Nord post Mani pulite. La realtà, dunque, ci dice che nonostante il forte risentimento popolare verso una classe politica alla quale si attribuiscono pesanti responsabilità per la crisi finanziaria e il mancato sviluppo che angustiano il Paese, ai partiti tradizionali viene affidato, dalla maggioranza assoluta degli elettori, l’onere di governare. Spetta dunque a questi tre partiti, largamente rinnovati nelle loro compagini parlamentari, di trovare una via di uscita. Se gli elettori hanno un torto, si fa per dire, è quello di non aver dato a uno dei tre partiti una maggioranza assoluta, ma avrebbero dovuto fare il miracolo di neutralizzare gli esiti nefasti del “porcellum” che, per la terza volta consecutiva, ha condannato il Paese all’ingovernabilità.
Ma quegli stessi elettori hanno detto alcune cose molto chiare. Innanzitutto hanno chiesto di dare un governo al Paese per affrontare l’emergenza e per non dilapidare i sacrifici fatti durante il governo Monti, peraltro sostenuto esattamente dai Pd-Pdl-Montiani. In secondo luogo, hanno ribadito la necessità di realizzare le riforme in grado di rimettere in moto l’economia del Paese, magari ricontrattando le politiche di austerity concordate con l’Europa. In terzo luogo, hanno sollecitato l’adozione di una legge elettorale in grado di determinare una maggioranza in grado di governare. Infine, hanno chiesto all’intero sistema politico-amministrativo una salutare cura dimagrante, in linea con i sacrifici del popolo. Tutto ciò richiede che i tre partiti riconoscano la gravità del momento e sappiano, con il sostegno del Capo dello Stato, individuare una strada realistica e percorribile verso la governabilità. Pd, Pdl e Scelta civica hanno pagato un prezzo pesantissimo per sostenere i sacrifici chiesti dal governo tecnico agli italiani. Ma la responsabilità dimostrata ieri non può infrangersi contro le timidezze, le pregiudiziali e gli egoismi di oggi. Occorre tempo e guadagnarlo non è un peccato politico. Aspettando che il movimento di Grillo si costituzionalizzi, occorre rispondere subito all’emergenza Paese.
Sosteneva Aldo Moro che non bisogna mai augurarsi l’annientamento dell’avversario politico. In democrazia, una forza politica ha sempre bisogno di un avversario in grado di contrastarla, di contenderle il potere e di limitarne lo strapotere. È la sostanza della democrazia rappresentativa. Sempre affinabile, ma democrazia vera. Ecco perché non riusciamo a sorridere quando Beppe Grillo chiede il 100 per cento dei voti per distruggere i partiti, con la promessa di non costituirsi in partito e di sciogliere il suo movimento. Tenersi stretta la democrazia parlamentare e rappresentativa è un bene comune che passa anche attraverso le scelte responsabili dei partiti che sono in campo. Nelle loro mani è principalmente il destino della nostra democrazia. Speriamo che ne abbiano piena e avvertita coscienza. E non si lascino paralizzare dalla paura di rischiare un’alleanza per costruire un governo di salute nazionale.