Memoria e degrado del castello aragonese che dall’alto osserva la città
Aprendo la finestra, al mattino, ci scambiamo da anni il buongiorno. Talvolta avverto tra noi una tale comunanza d’umori : penso che anche tu soffri, come me, di meteoropatia. Quando il tempo è buio, cupo e umido ti nascondi tra gli alberi, te ne stai rannicchiato in silenzio, aspettando che passi. Le tue mura, di un grigio scurissimo, diventano così dense di nebbia, così fredde che anch’io da qui, avverto le stesse sensazioni sulla pelle. Nelle calde giornate di sole, invece, mi accogli con una tale luce! Ti elevi in tutta la tua straordinaria bellezza, reclami spazio tra il bosco sottostante, per confermare a tutti la tua imponente presenza. Luccichi, i tuoi colori sfavillano, posso sentire le voci dei tuoi cortigiani e, inorgoglita, anch’io gonfio il petto, per affrontare, luminosa e carica, la mia giornata. Il nostro è un colloquio privato, intimo e biunivoco, eppure non mi basta. Ti considero il mio castello, ma vorrei che fossi di tutti.
Il tempo verbale è corretto: “Vorrei”… perché non sei più. Non è una supposizione, ma certezza. Tu, reale dimora , non sei più memoria collettiva. Lo dimostrano i discorsi, le parole e i fatti. Mi è capitato spesso di ricordarti tra la gente, la nostra gente, ma l’immediata reazione è stata inibente: “La proprietà è privata e ci vogliono troppi soldi”. Il fatto è che io non ho accennato minimamente né ad un possesso, che nel caso di beni culturali resta sempre discutibile, né ad un’eventuale sistemazione. Mi aspettavo almeno un pensiero nostalgico, un minimalistico apprezzamento! Nulla di tutto questo. Del resto dovrei esserne abituata: il settore che ho deciso di approfondire, studiare, conoscere e valorizzare (quello dei beni culturali) è ormai una miniera di occasioni perdute, delegittimazioni e negazioni.
Invece ne sono nauseata.
Il tutto gira e si risolve intorno alle attribuzioni di competenze, di possesso, che in realtà risuonano più come alleggerimento di responsabilità, che reale identificazione. Ciò che intendo dire è che, non serve, o almeno non è una priorità, capire chi se ne dovrebbe occupare e quanto dispendio, in termini economici, apporterebbe. Il primo passo, per evitare che la nostra storia finisca nel dimenticatoio, è semplicemente riconoscerne il valore.
Non è teoria. Per farlo c’è solo bisogno di preservare il ricordo, in maniera attiva ovviamente : parlandone, discutendone, scrivendone…insomma conoscendo. La sorprendente realtà dimostra che tutti possiamo farlo, tutti ne abbiamo il diritto, ma soprattutto il dovere morale di rendere viva e vivibile la nostra memoria, il nostro patrimonio storico-artistico e culturale locale.
A te, caro castello, continuo a rivolgermi da lontano, sperando che queste parole, il tuo valore che distribuisco amorevolmente nei racconti e tra la gente, ci rendano un giorno vicini, ma soprattutto ti restituiscano degnamente un posto privilegiato nella nostra storia cittadina.
Francesca Costantino