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Venezia 70. Una Napoli plumbea, cadute nello spazio, grottesco sardo: i primi film del Festival

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I divi Clooney e Bullock aprono la Mostra.  Napoli è grigia e uggiosa nel film d’animazione di Alessandro Rak

Lido di Venezia. L’incanto e il terrore dello spazio profondo aprono le danze del Festival del Cinema al Lido di Venezia. Il film di Alfonso Cuaron, Gravity, proiettato questa mattina fuori concorso, ci catapulta in orbita attorno alla Terra al fianco di un manipolo di astronauti, tra cui Matt (George Clooney) e Ryan (Sandra Bullock).

La conferenza stampa di "Gravity"
La conferenza stampa di “Gravity”

Durante una riparazione al di fuori della stazione spaziale, una nube di detriti meccanici mette improvvisamente a rischio le loro vite, dando inizio a una corsa nel vuoto per la sopravvivenza. Complici le profondità di campo di un 3D spettacolare, Gravity tiene in pugno lo spettatore con una regia vorticosa e vertiginosa che poggia tutta sugli effetti speciali che hanno permesso a Cuaron di compiere riprese acrobatiche in lunghi piani sequenza, in cui le oggettive diventano soggettive e viceversa, con una macchina da presa che si muove nello spazio attorno ai personaggi come stesse fluttuando nel vuoto assieme a loro. Il regista messicano sparge qua e là qualche simbolismo, provando a conferire alla pellicola quel tono filosofico che accompagna la fantascienza dai tempi di Kubrick e del suo 2001 – Odissea nello spazio, senza però centrare troppo il bersaglio. Gravity resta un film che fa della spettacolarità il suo punto di forza e che sa regalare immagini di grande impatto e suggestione, a tratti di poesia (vedasi la scena della lacrima che fuoriesce dallo schermo grazie al 3D).
Dai toni più gravi e malinconici l’interessante “L’arte della felicità” (Settimana della Critica) prodotto tutto napoletano realizzato da un gruppo di fumettisti e diretto da Alessandro Rak, qui alla sua opera prima. Una Napoli grigia e uggiosa, all’apice della sua crisi dei rifiuti, dove la tristezza e i ricordi dei personaggi si mescolano nella pioggia che batte sui vetri delle auto e sui marciapiedi. La storia è quella di Sergio, un tassista ex pianista di jazz, che a seguito di una brutta notizia, comincia a ripensare alla sua vita e a riflettere sul presente e il futuro. L’arte della della felicità unisce l’animazione 2D a quella 3D, creando immagini spesso astratte lontane da quelle infantili dei classici cartoon, unendo il paesaggio metropolitano a riflessioni sulla vita, sulla felicità, toccando filosofia e spiritualità attraverso il legame tra due fratelli e un susseguirsi di personaggi, ciascuno con un passato da raccontare.
Ieri, invece, proiezione pre Festival con le Giornate degli Autori: “L’Arbitro“, di Paolo Zucca, narra le vicende di una squadra di calcio sarda di Terza Categoria – l’Atletico Pabarile – che si alternano all’ascesa professionale dell’arbitro Cruciani (Stefano Accorsi). Pellicola grottesca, girata come un film western, che funziona nelle sue suggestioni più surreali, ma pecca di un’eccessiva aderenza agli schemi televisivi (pare di guardare una raccolta di scenette da sitcom) e risulta poco efficace nel tentativo di raccontare le questioni etiche legate alla professione dell’arbitro. Piacevole, senza dubbio, ma resta un’operazione tra macchiettismo e sketch.

Michele Menditto

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