Lido di Venezia. Passano anche gli altri due film italiani del concorso al 70° Festival del Cinema di Venezia, che si avvia verso la conclusione senza aver regalato molte opere di particolare pregio. Dopo l’esordio di Emma Dante, “Via Castellana Bandiera”, è stata la volta, ieri, di Gianni Amelio, ritornato al Lido dopo aver vinto il Leone d’Oro nel 1998 con “Così ridevano”. Ha portato alla Mostra “L’intrepido”, con Antonio Albanese a fare da protagonista. Il comico interpreta Antonio Pane, che di mestiere fa il rimpiazzo, ovvero sostituisce chi si assenta dal posto di lavoro, cambiando luogo e professione anche più volte al giorno. Il film parte dai temi del precariato sino a toccare la dignità della persona e i rapporti padre-figlio, in un percorso narrativo che fa dichiaratamente riferimento al neorealismo italiano, e in alcuni momenti strizza l’occhio alla poetica chapliniana del vagabondo Charlot. Peccato che Antonio Albanese risulti poco credibile nel suo tentativo di essere un attore “profondo”, e che, soprattutto, la sceneggiatura non sia una delle più riuscite, con dialoghi spesso improbabili e battute che rasentano la banalità più irritante.
Questa mattina invece è passato l’ultimo lavoro di Gianfranco Rosi, “Sacro GRA”, documentario sul Grande Raccordo Anulare che circonda Roma. Un ritorno al Lido per Rosi dopo 5 anni, da quando nel 2008 vinse il Leone per la sezione Orizzonti con l’interessante “Below sea level”. E questo nuovo documentario prosegue nella stessa direzione, raccontando vite ai margini, storie di uomini e donne consumati dalla società ma ancora pieni di sogni e speranze. Anche stavolta, però, si ripresenta l’identica questione sul rapporto verità-finzione, e ci si domanda: dove finisce il vero e incomincia la messa in scena? Difficile pensare che alcune scene siano spontanee o semplicemente “registrate” dall’occhio della macchina da presa. Resta l’autenticità delle bellissime immagini riprese da Rosi lungo il Raccordo, a tratti di grande bellezza.
Michele Menditto