La rubrica Arte Santa oggi si dedica a San Matteo e alla tela del Caravaggio che ritrae il Santo
È Gesù a chiamarlo MATTEO, cioè “Dono di Dio”, in un giorno qualunque, mentre egli è intento a sbrigare i suoi quotidiani affari. Da quel giorno non è più Levi, non è più un esattore delle imposte, un pubblicano, un peccatore, un arrivista, un uomo che dipende solo dal denaro: la chiamata di Gesù trasforma il suo nome e la sua vita. È una CONVERSIONE, che si consuma nel presente, sotto i nostri occhi, “hic et nunc”, grazie alla trascrizione visiva che ci propone il Caravaggio nell’enorme tela della Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma: “Vocazione di San Matteo”.
Il dipinto colpisce non per le dimensioni bensì per la sua rara naturalezza, per la schietta normalità: una scena di vita comune, così scevra da ogni retorica da destare forzata attenzione e meraviglia.
Rappresenta un gruppo di uomini seduti ad un tavolo. In tutto cinque: tre ragazzi di giovane età, abbigliati in modo piuttosto appariscente, secondo il costume dell’epoca, altri due,invece, in età più avanzata. Sul tavolo, pochi oggetti ma emblematici: una sacca di monete,una penna, un calamaio e un libro dei conti aperto. Possiamo, dunque, immaginare l’attimo che immediatamente precede quello descritto dal quadro: in una stanza che appare piuttosto buia e vuota, tutti sono intenti a fare il bilancio della giornata, a spartirsi, forse, un bottino. Ma d’improvviso la scena cambia. Entrano due uomini ed inizia un “gioco di mani” e di espressioni eloquenti. Il pittore non cela la loro identità: si tratta di Gesù e San Pietro. Quest’ultimo avvolto in un lungo mantello e scalzo, iconograficamente “senza tempo”, contrasta nettamente con l’abbigliamento “moderno” di Matteo e i suoi compagni, che sono, al contrario, uomini “del loro tempo”. Il tenue scintillio dell’aureola, invece, suggerisce la presenza del divino di cui è il gesto ad essere identificativo: un “indicare” che appare rilassato ma inequivocabile e dice a Levi che è lui la persona che cerca, che vuole con sé, al suo seguito. Ma incerto ed incredulo, il futuro apostolo, addita se stesso come a ribadire : “Sei sicuro, proprio io?”.Non ci sono dubbi, è davvero lui il prescelto e, a fermare per sempre il momento della chiamata, contribuisce il fascio di luce, non proveniente dalla finestra, dunque non reale, ma tangente ad essa e perciò trascendente,che illumina e cristallizza le espressioni stupite dei personaggi, in continui rimandi di luci e ombre, evidenziando anche chi, noncurante, prosegue abulicamente nel conteggio del “dio-denaro”.
La vocazione di San Matteo, quindi, è tradotta dal Caravaggio in vocazione umana. Una RIVELAZIONE A NOI STESSI che lascia sorpresi, impreparati, dubbiosi, spaventati ma comunque liberi di scegliere se alzare lo sguardo verso Cristo, per trovare comprensione, perdono e salvezza, o se continuare ad essere indifferenti alla sua presenza,affamati e insaziabili di cupidigia.
Trovo sempre di una bellezza disarmante il giudizio, in versi, di un amico del pittore,Marzio Milesi, che di fronte all’opera finita definisce l’apparizione di Cristo come lo strumento che “sgombra e rischiara” la mente di ogni uomo, “che ingorda e cieca si stava al mondo in duri lacci avvolta”.
Immaginiamo, quindi,alla maniera di Caravaggio,anche il momento consecutivo (“E Matteo, alzatosi, lo seguì”.- Mc.2,14)augurandoci, sull’esempio dell’apostolo e nel giorno della sua festa, di riuscire a dire il suo stesso umile ed incondizionato “eccomi” ogniqualvolta Gesù ci chiede di abbandonare tutto per camminare con Lui,stringendoci la mano.
Francesca Costantino