La rosa nell’iconografia cristiana diventa principale attributo della Vergine Maria e preannuncia il valore simbolico del rosario.
di Francesca Costantino
La scelta della “Madonna delle rose” dell’artista francese William-Adolphe Bouguereau non è casuale. Il desiderio di indagare l’origine del termine “rosario”, riporta al suo primo significato proprio nell’accezione botanica. Il rosaio (in latino “rosarium”), infatti, nell’iconografia cristiana. è spesso la corona di rose associata alla figura della Vergine Maria e ne diventa suo identificativo attributo. E, in aggiunta, la tradizione leggendaria narra che, prima della cacciata dell’uomo dal paradiso terrestre, le rose fossero prive di spine; soltanto dopo la disobbedienza dei progenitori e, dunque, la generazione del peccato originale, il fiore inizia a produrre prominenze spinose. Maria Vergine,pertanto, è considerata la “rosa senza spine” proprio in virtù della sua “esenzione” dal peccato originale e secondo tale definizione inizia ad essere rappresentata nella cultura figurativa cristiana.
Il dipinto proposto conferma tale consuetudine e mostra la carnale e corporea presenza della Vergine e del Bambino immersi nella bellezza di un verdeggiante e fiorito roseto. È un’ opera di un iper-realismo sconcertante, da istantanea fotografica, aderente ai canoni della corrente neoclassica che il Bouguereau assimila sia durante gli anni della sua formazione artistica presso lo studio di François-Edouard Picot, che lo indirizza verso la pittura in stile accademico,sia nel corso del soggiorno romano, dove approfondisce dal vivo i capolavori del Rinascimento e le grandi opere antiche greche, romane ed etrusche. Si condensa tutto in quest’immagine, dove è persino possibile avvertire l’abbraccio di Maria, un intreccio di mani che sostiene e stringe a sé il figlio,quasi con forza e per l’istinto,nel timore della preannunciata perdita.
Allo stesso modo si percepisce tutta l’umana natura, l’effettiva fisicità, il peso dell’infantile corpo, così come la levigatezza della pelle, bianca e pura, come il manto, ossia lo spirito, della madre che l’ha generato. Infine lo sguardo d’amore che la Vergine volge verso il Padre e il piccolo Gesù riporta a noi, è un richiamo forte a meditare sulla loro reale presenza, nella nostra vita.
Questo “scrutarci dall’interno” può avvenire per mezzo di uno strumento che costituisce e costruisce un legame concreto e amorevolmente ripetibile: il rosario. Lo considero un monito necessario all’umana fragilità, un’esortazione a cercare quel filo conduttore che, nell’infinito svolgersi dei grani, ricorda che è vitale intessere un dialogo sempre vivo e profondo tra l’uomo e Dio, un dialogo che ha sempre il profumo e i meravigliosi colori delle rose, e talvolta i pungenti richiami delle loro spine.