Nell’opera del Bernini l’unione trasformante di Dio tradotta dalle parole di una mistica e dall’ingegno di un artista
di Francesca Costantino
Sono in Via XX Settembre a Roma. Una meravigliosa architettura impone la mia attenzione. È la chiesa di Santa Maria della Vittoria, dedicata all’ordine dei Padri Carmelitani scalzi. Qualcosa mi spinge ad entrare al suo interno: la consueta sensazione di ritrovare opere perse nella memoria degli argomenti di studio. Ed ecco la certezza. Davanti a me, la Cappella Cornaro mostra tutta la sua bellezza e la sublime invenzione artistica di Gianlorenzo Bernini.
In particolare l’“Estasi di Santa Teresa”, al centro dell’altare, in un tabernacolo di marmi policromi, è protagonista indiscussa della scena. E solo adesso, de visu riesco a cogliere il senso della definizione manualistica: “E’ riduttivo definirla un’opera scultorea”. Verissimo! L’evento miracoloso della trasverberazione di Santa Teresa accade in quel preciso istante, sotto i miei increduli occhi ed è un connubio perfetto tra teatralità, architettura scenografica e armoniosa plasticità.
La sensazione è quella di essere in presenza di un tridimensionale ed epifanico dipinto. La donna, fondatrice dell’ordine carmelitano, è nel momento culminante dell’estasi: si abbandona, senza forze, all’indietro mentre un gioioso angelo dai lineamenti dolcissimi, l’ha appena colpita con un dardo infuocato e tenta di sostenerle le vesti leggere e svolazzanti.
La luce naturale che proviene dalla finestra soprastante, contribuisce, con l’ausilio dei fasci dorati da sfondo alle figure, a creare un’atmosfera eterea e ad esaltare la purezza del marmoreo incarnato. È Santa Teresa stessa a descriverci il preciso momento dell’incontro con Dio nel “Libro de su vida”.
Racconta infatti: “Mi vidi un angelo accanto dal lato manco, bello molto in forma corporale; non era grande ma piccolo, il volto così acceso[…]; gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, e sulla punta parevami che vi fosse un poco di fuoco. Sembravami che alcune volte con questo mi ferisse il cuore e che penetrasse fino alle viscere[…]. Era così vivo il dolore che mi faceva dare piccoli gridi: tanta è la soavità che mi procura questo grandissimo dolore che non si desidera mai cessi”.
Ma il Bernini ha tradotto con incredibile dettaglio e veridicità non solo le sue parole, bensì l’intero suo pensiero spirituale.
Di Teresa trapela dal marmo la fisicità, l’essere donna di carne e sangue che tuttavia ama di un amore divino, inebriante il corpo, al punto da poterlo abbandonare, da poterlo cedere.
La tradizione agiografica vuole, infatti, che proprio davanti ad una statua dell’Ecce Homo, simbolo per eccellenza della rinuncia a se stessi, la Santa abbia capito il senso vero dell’essere trasformati dall’amore di Cristo e abbia iniziato dunque, un lungo cammino di purificazione interiore, attraverso quelle che definisce lei stessa “Orazioni”. Ce le indica e propone nei suoi scritti (“Il castello interiore” e il “Cammino di perfezione”): da una prima fase di raccoglimento, riflessione e preghiera si giunge ad un momento in cui la quiete, la pace d’intenti, dimora in ogni individuo che decide di destinare gli eccessi, le distrazioni, le sofferenze, ad una sfera non più umana, ma plasmata dall’amore di Dio, dalla Sua volontà. Il passo successivo è automatico e comporta il totale affidamento, la completa e costante fiducia in Dio, che diventa, con Lui, unione estatica e inscindibile.
Non mi resta che riportare alcune parole di Santa Teresa nel giorno in cui è più vivo il suo ricordo: parole semplici ma vive, di preghiera e di balsamica quiete.
Niente ti turbi,
niente ti spaventi.
Tutto passa,
Dio non cambia.
La pazienza
ottiene tutto.
Chi ha Dio
ha tutto.
Dio solo basta.