Dal pennello di Simone Martini, così insegna Santa Elisabetta d’Ungheria
di Francesca Costantino
Pur essendo regina, pur avendo autorità, pur dovendo assumere illimitato potere, le sono completamente estranee la ricchezza, l’arroganza, la vanità. Anzi, il più delle volte assume atteggiamenti anticonformisti, tali da suscitare incomprensioni e dissapori presso la corte. No, non mi riferisco ad un personaggio odierno: rari, anzi quasi inesistenti, sono ormai i casi di genuina e sana espressione di dominio e autorità, privi di abusi.
È Santa Elisabetta di Turigia la sola protagonista del mio breve commento, assoluto emblema dell’integrità morale e delle facoltà necessarie alla “gestione” del potere.
Presso la Basilica Inferiore di San Francesco ad Assisi, avviene il mio primo contatto con la storia di Elisabetta, che non conoscevo, né avevo mai sentito nominare. Ad affascinarmi è il suo ritratto: un affresco che occupa la parete di fondo del braccio destro del transetto, disposto ad angolo, e che fa parte di una sequenza di altri ritratti: identità che, però, scopro solo successivamente (si tratta di San Francesco, San Ludovico da Tolosa, Santa Margherita e Sant’Enrico D’Ungheria), attribuite al famoso pennello di Simone Martini.
Essendo grande la curiosità cerco qualcosa o qualcuno che possa rispondere alle mie domande. Con pazienza e infinita disponibilità, un anziano frate mi suggerisce i diversi nomi, tra i quali spicca, appunto, quello della regina d’Ungheria. Non lo trattengo ulteriormente nelle spiegazioni, si conceda salutandomi quasi affettuosamente. Ma di ritorno a casa apro con voracità la monografia dell’artista e ricerco notizie che possono aiutarmi nell’analisi dei dettagli iconografici. Ne scopro l’origine regale e la breve vita, che si spegne a soli 24 anni, nel 1231. È figlia, infatti del re d’Ungheria, Andrea III, e moglie di Ludovico, langravio di Turigia. Leggo del suo essere donna di bell’aspetto, madre affettuosa, sovrana attenta alle esigenze dei sudditi, animata da una fortissima spiritualità che traspone in ogni aspetto del suo vivere quotidiano, Elisabetta conduce un’esistenza felice, poiché colma di attenzione verso gli altri, proiettata alla carità e alla condivisione dei suoi averi con i più bisognosi, tanto da renderla estranea al mondo della vanagloria e dei privilegi di corte, ed essere etichettata come la “piccola zingara ungherese” . Significativo, infatti, è il gesto che tanto ha catturato fin dal principio il mio sguardo e che il Martini fa compiere alla Santa: quel volersi liberare dalla collana in oro che le cinge il collo, quasi a spezzare con forza l’inutile legame con il lusso, la ricchezza, i beni terreni. Così come la corona sul suo capo, che, leggo ancora dalle sue memorie, rifiuta più volte, non sentendosi degna del paragone con Cristo, che ricevette, invece, il dono delle spine.
Pertanto oggi, 17 novembre, oltre a ricordare il suo nome, è doveroso diffondere la sua poco conosciuta storia, tenendo ben presente che la vera ricchezza non sfoggia, non mostra, non si vanta, non abusa, non pretende ma semplicemente, con-divide.