Di Francesca Costantino – La chiesa di San Giorgio Maggiore a Venezia accoglie una tela dal titolo “Martirio di Santa Lucia”, attribuita al pittore Leandro Bassano e risalente all’ultimo decennio del 1500. È un’opera dalla drammatica e irruente carica espressiva, che mostra un episodio, probabilmente leggendario, relativo alla vita di Santa Lucia.
Siamo nel IV secolo d.C. Lucia, giovane donna siciliana, decide di consacrare la sua vita a Cristo e donare i suoi fruttuosi beni ai poveri, rinunciando così al matrimonio. Tuttavia, il promesso sposo, scoperta la sua irremovibile devozione e decisione, la denuncia al console di Siracusa, nel tentativo di “restituirla” alla comunità pagana e ai suoi doveri. Numerose sono le torture che deve subire, prima tra tutte il tentativo di portarla in un postribolo, legata con spesse corde. La leggenda , però, narra che, ad opera dello Spirito Santo, Lucia comincia a discutere con il prefetto e a presentare le ragioni della sua divina scelta, in maniera così pericolosamente coinvolgente che, all’istante si dispone la sua condanna a morte; neppure molte coppie di buoi, però, sono capaci di spostarla fisicamente, in direzione del rogo al quale è irrimediabilmente destinata. Le sono così cavati gli occhi, poiché “portatrice di luce”, ossia di speranza, di spirituale visibilità e cambiamento; difatti nell’immaginario iconografico, il piatto che reca i suoi occhi, il pugnale o la spada, sono divenuti i distintivi attributi.
Il dipinto ha sempre suscitato in me profonda insicurezza: la forza bruta che esprimono gli uomini sulla destra, ha sempre pesato di più, mi è sempre apparsa “troppo”, rispetto alla sicura saldezza, alla fiducia che , seppur esile, Lucia dimostra. E allora spesso chiedo a Lei, con profonda umiltà, di rendermi sicura, decisa, incrollabile e tenace nelle scelte e, prima di tutto, nella fede.