Oggi la festa dei Santi Innocenti. Una riflessione sui dolori di ieri e di oggi
Di Francesca Costantino – Nel testo “La provincia dell’uomo” del 1973, Elias Canetti elabora una riflessione che ho considerato, da sempre, spaventosamente incline alla verità: “Forse neanche un solo uomo è degno di avere un bambino”.
E non solo oggi, 28 dicembre, giorno in cui si ricorda la biblica Strage degli Innocenti, ma ripetutamente troppo spesso ripercorro concretamente quelle parole, dure, severe, amarissime, riscontrandole nel quotidiano. Non si tratta di realtà lontane, isolate in zone di guerriglia e povertà. Riguardano la nostra dignità “ordinaria” di uomini, di padri e madri che mortificano il valore più elevato e sacro: l’innocenza, ossia l’amore senza riserve.
È per me naturale avere un riferimento iconografico e questa volta è il Giotto della Cappella degli Scrovegni a fornirmi la corrispondenza. È un affresco del 1303-1304 che compone, insieme ad altri, le Storie di Cristo e rappresenta l’episodio della Strage degli Innocenti, narrato nel Vangelo di Matteo. Il mio interesse per questa scena deriva dalla rivoluzionaria resa espressionistica dei personaggi, assolutamente innovativa e mai utilizzata prima d’ora.
Giotto è il primo a tradurre in narrazione visiva una vasta gamma di reazioni e comportamenti intimistici: l’angoscia, la paura, il dolore e l’urlante strazio delle madri; il gratuito terrore reso a piccole ed indifese creature; l’indifferenza di alcuni uomini presenti, insieme ad altri sconvolti e partecipi dell’orrore e al contempo la disumana ferocia dei tetri carnefici. Il tutto determinato da una drammatica e significativa gestualità e resa coloristica: le braccia protese in avanti, l’abbraccio serrato, le mani che stringono e strattonano, le guance rigate dalle lacrime, il dito puntato del re Erode, la movimentata contrapposizione cromatica.
Mi chiedo, quindi, cosa abbiamo dedotto e imparato dal racconto di chi ha ammonito e continua ad ammonire le nostre coscienze?
Risponde, purtroppo, la storia e, con miserabile vergogna, anche quella con la “s” minuscola, la nostra.