Come ci si rivolge ad un vescovo?
Forme e formule di un simpatico colloquio
La ricerca parte inevitabilmente da Google, per indagare il variegato modo di possibilità e di risposte a disposizione, per attingere alle “formule” ufficiali o ai “sentito dire”.
Come ci si rivolge ad un Vescovo? Beh… le risposte sono tante, e anche simpatiche.
Talvolta, un ossequio di troppo fa precipitare le frasi in un groviglio di titoli che quasi spezzano a metà i concetti, le parole, le cose importanti da dire.
Va per la maggiore l’espressione “Sua Eccellenza” anche quando ci si rivolge al Vescovo direttamente. In tal caso si tratta di una formula grammaticalmente scorretta. Essa è corretta invece, quando lo si nomina in terza persona o si parla di lui in sua assenza: «Sua Eccellenza il vescovo mi ha detto di…», oppure: «Questa è la volontà di Sua Eccellenza, il Vescovo». Quando il vescovo è presente e gli si rivolge la parola, va eliminato il “Sua” e quindi si dirà: «Eccellenza, siamo contenti che Lei sia presente tra noi”; “Eccellenza benvenuto al nostro convegno».
Wikipedia, l’enciclopedia libera si esprime così: Il trattamento di eccellenza è un trattamento di antica origine, adottato dalle consuetudini e convenzioni protocollari in campo amministrativo, giudiziario, politico-militare, religioso e nobiliare di numerosi paesi.
Nel cerimoniale diplomatico, si riserva tale trattamento agli ambasciatori residenti. L’appellativo è anche utilizzato, nelle cerimonie ufficiali, per rivolgersi ad un capo di Stato o ad un ministro.
Nella tradizione nobiliare, il trattamento di eccellenza veniva riconosciuto dal sommo pontefice e dai sovrani ai capi delle più importanti casate, talora ad alcune consorti, al principe assistente al Soglio pontificio ed a numerosi altri componenti della corte pontificia. Nella Chiesa cattolica, il trattamento di eccellenza è inoltre riservato ai vescovi ed arcivescovi, eccezione fatta per i cardinali, i quali hanno diritto al trattamento di eminenza.
In Italia, l’uso del termine ha subito diverse vicissitudini: un decreto regio del 16 dicembre 1927 stabiliva tale titolo per prefetti, per il primo presidente e il procuratore generale della Cassazione, i presidenti delle Corti di Appello e i procuratori generali.
Il decreto non fu mai convertito in legge perciò ebbe interpretazioni alterne e occasionali, finché nel 1996, l’allora ministro dell’Interno, Giorno Napolitano, diede precise disposizioni vietando l’uso dell’appellativo “eccellenza” a prefetti e giudici.
Ambasciatori e vescovi oggi conservano il titolo. Ma cosa ne pensano davvero? O perché non mettere al voto, il titolo o il modo (felicemente più fraterno) con cui rivolgersi ad un Vescovo?
Le alternative più “leggere” rispetto alle formule ufficiali, forse favorirebbero meno imbarazzo in chi non sa da dove cominciare e quale titolo migliore e più alto usare…pur di non fare brutta figura.
Non serve. Non ce n’è bisogno.
Il dialogo, il rispetto, il confronto, prescindono da alcuni titoli. Per fortuna…
E se ci rivolgessimo al Vescovo più semplicemente con l’espressione “Padre vescovo” o “Padre Valentino” ?
Pensiamo proprio che gli farebbe piacere.
Al lettore invece farebbe piacere leggere l’autore dell’articolo. Non si capisce perchè l’articolo non è firmato.
Gli articoli senza firma sono curati direttamente dalla Redazione, insieme commentati e approvati.
In questo caso, se la memoria non mi tradisce, potrei averlo scritto personalmente. Ma è trascorso un po’ di tempo…
Saluti.
Grazia Biasi