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Governo. Il vero coraggio? Ripartire dalla scuola

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Occorre prendere sul serio le parole e gli impegni del giovane presidente del Consiglio dei ministri. Sia quando afferma che “questo è il tempo del coraggio, che non esclude nessuno e non lascia alibi a nessuno”, sia quando con un pizzico di enfasi sostiene che “se questa sfida la perderemo, la colpa sarà mia”

Di Domenico Delle Foglie (Agensir) – È difficile sostenere che Matteo Renzi non abbia coraggio. Certamente non bastano i suoi 39 anni a dare conto della voglia di metterci la faccia per cambiare il Paese. Il coraggio è una dote dell’umano che non si impara, soprattutto quando sulle spalle piovono responsabilità grandi. Quando la sfida riguarda il destino di un popolo intero, chiamato a rimboccarsi le maniche per tirarsi fuori dalla crisi economica e sociale più lunga dal Dopoguerra in poi. Tutto questo ci fa dire che occorre prendere sul serio le parole e gli impegni del giovane presidente del Consiglio dei ministri. Sia quando afferma che “questo è il tempo del coraggio, che non esclude nessuno e non lascia alibi a nessuno”, sia quando con un pizzico di enfasi sostiene che “se questa sfida la perderemo, la colpa sarà mia”. Linguaggio giovanile? Beata incoscienza? Difficile dirlo. Di sicuro ci sembra di percepire, in questa nuova generazione politica, la consapevolezza della responsabilità. È la loro grande occasione per fare il bene dell’Italia. Dobbiamo sinceramente augurarci che, per il bene di tutti, facciano tutto quanto è necessario per togliere la ruggine agli ingranaggi che inceppano la vita del Paese. Non è voglia di nuovismo a tutti i costi. È piuttosto la drammatica consapevolezza che i tempi nuovi richiedono nuove sensibilità, nuove energie, nuove prospettive, nuovi orizzonti. E di coraggio bisogna averne tanto per affermare che l’Italia deve ripartire dalla scuola. Il fiorentino Renzi non può non ricordare la lezione di Giorgio La Pira e di don Lorenzo Milani, ma non si fa scudo delle loro parole e delle loro figure tanto care al mondo cattolico. Lui parla di scuola e poi anche di cultura, come necessità per un Paese moderno che vuole giocare la propria partita in Europa e nel mondo. Da protagonista perché, sono parole sue, “i valori della cultura fanno di noi una superpotenza mondiale”.
-Tornare dunque a investire sulla scuola, anche nelle mura che ospitano i nostri figli e nipoti, è un segno inequivocabile. Abbiamo ancora impresse nel cuore e nella mente le parole severe pronunciate in proposito da monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana: “La scuola non può essere il bancomat da cui, attraverso i tagli, attingere il denaro da sprecare in altre direzioni”. Certo, basta con l’Italia degli sprechi perché ogni euro speso male o sprecato è un atto di ingiustizia verso i più poveri e deboli fra noi.
Il presidente ha poi inanellato tutte le riforme che vuole varare, dalla legge elettorale alla revisione del Titolo V, dalla giustizia civile alla riduzione in doppia cifra del cuneo fiscale, dal rinnovamento dei dirigenti dello Stato alla creazione di un fisco non più ostile ma “consulente dei cittadini”, dallo sblocco totale dei debiti della pubblica amministrazione al fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. A dire il vero, Renzi non ha indicato dove conta di recuperare le risorse necessarie, calcolabili in decine di milioni di euro, per mettere in campo le riforme economiche.
Di questo certamente sapremo di più nei giorni a venire. E su questo versante fanno bene le opposizioni a incalzarlo senza fargli sconti. Soprattutto perché nessun governante responsabile può pensare di sottrarsi alla responsabilità di non accumulare altro debito pubblico, anzi di dover fare un’azione lungimirante per ridurlo. In tutta questa operazione non basterà la buona volontà del governo, ma conteranno molto le condizioni esterne e le aperture di credito in Europa che il governo saprà conquistarsi.
Infine un’annotazione generale sul discorso di Renzi. La sua è davvero la prima generazione post-ideologica che si affaccia al potere. Può quindi permettersi di evocare Gigliola Cinguetti (“non ho l’età…”) a proposito dei suoi 39 anni che gli impediscono di essere eletto al Senato, o di chiamare in causa Papa Francesco (“Internet è un dono di Dio”) a riguardo del rapporto da semplificare, attraverso la Rete, fra Stato e cittadini. O di ricordare la signora che lo ha fermato all’uscita dalla Messa (ci vuole un bel coraggio a riferirlo nell’aula del Senato) e lo ha apostrofato con una battuta: “se lo fa lei, il presidente del Consiglio, lo possono fare tutti”.
Ecco, sarebbe un errore pensare che tutto questo sia frutto dell’ingenuità di un quasi quarantenne. No, Renzi è figlio del suo tempo: ha lasciato in soffitta le ideologie per tentare di risolvere i problemi armato solo dei suoi valori e della borsa “politica” degli attrezzi. Per queste ragioni può anche evocare, senza che l’aula reagisca, la questione dei diritti civili, per i quali chiede a tutti “lo sforzo di ascoltarsi”. Ecco, è già una buona cosa saper ascoltare. Il Paese sa parlare. Che ci sia un presidente del Consiglio che ha voglia di ascoltare senza pregiudizi, è un inizio incoraggiante.

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