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Giovanni XXIII. “Io c’ero…” Il ricordo del nostro Vescovo Valentino Di Cerbo

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valentino_di_cerbo_alife_caiazzoIl Papa del Concilio, della Chiesa nuova; il Papa della pace; L’uomo coraggioso che osò alzare lo sguardo e la voce sul mondo politico internazionale in un momento di forti tensioni. Per tutti, il Papa buono.
E’ così ancora oggi nei ricordi di chi, giovane o adulto in quegli anni, ha vissuto l’esperienza di una Chiesa dinamica e accesa da una nuova passione per l’uomo, una chiesa vicina al cuore della gente, e alla voce che si levava da un mondo in attesa di nuove e più vere risposte.

Una chiesa moderna e vera.
Ne abbiamo parlato con il nostro Vescovo, Valentino Di Cerbo, che il 28 ottobre 1958, quando Angelo Roncalli veniva eletto Papa e sceglieva il nome di Giovanni XXIII, era giovane studente presso l’Istituto salesiano di Caserta (solo l’anno seguente si sarebbe trasferito a Roma per gli studi presso il Seminario Pontificio Romano e conosciuto personalmente il Papa buono).

Tutto ha inizio in maniera insolita…
Il giorno dopo l’elezione del Papa, presso l’Istituto di Caserta venne esposta una foto del nuovo Papa che ci lasciò perplessi: troppo diverso dall’aspetto slanciato, ieratico e solenne di Pio XII a cui eravamo abituati. Per alcuni fu una delusione. Le notizie che ci giungevano non erano molte, ma bastò poco per capire che invece qualcosa di nuovo e di straordinario stava accadendo nella Chiesa.

Quando, in particolare?
Pochi mesi dopo la sua elezione, il 26 dicembre, si recò al carcere Regina Coeli, trasformando la solitudine di quegli uomini, soli e desolati dietro le sbarre, in un sogno di speranza e di nuova serenità; il giorno prima si era invece recato all’ospedale Bambin Gesù, spiegando – in quei contesti di dolore – che il suo gesto non era altro che l’imitazione di quanto avrebbe fatto Gesù stesso. La storia della Chiesa stava cambiando e con essa la storia di tanti uomini e donne, sacerdoti o laici. Ci viene in aiuto la definizione che di lui diede Hannah Arendt per descrivere la sua evangelicità ossia “un cristiano sul trono di Pietro”.

Tra i diretti testimoni di questo cambiamento, e poi delle novità del Concilio Ecumenico Vaticano II c’era roncalli_le tappeanche lei…
Tra essi c’ero anche io, felice allora come oggi, di aver vissuto l’esperienza di una Chiesa viva, desiderosa di crescere, cambiare e rinnovarsi nell’ascolto dell’umanità, nel prendere per mano le sorti del mondo e rendersi compagna di viaggio, vicina ai bisogni degli ultimi, aperta al dialogo con le altre confessioni religiose, una chiesa rifondata sul Vangelo.

E’ la chiesa che torna ad indicarci Papa Francesco…
Sì, una chiesa fraterna, docile, china sulle ferite del mondo; prossima ai bisogni reconditi di ciascuno. Una chiesa a braccia spalancate, accogliente e misericordiosa.

Ritornando al Concilio, il grande “segno” di Giovanni XXIII, cosa ricorda di quegli anni?
Quando il Papa indisse il Concilio, era il 25 gennaio 1959, io non ero a Roma; la prima reazione che ne scaturì non fu energica come invece furono l’entusiasmo e le motivazioni di dopo sia nella Chiesa che nel mondo laico.

Ma presto qualcosa cambiò…
Decisamente. Giunsi nella Capitale per iniziare il mio percorso di studi nell’ottobre del 1959 e come studente del Seminario minore vissi in maniera molto forte la preparazione al Concilio, soprattutto nei suoi aspetti ecumenici: studi, ricerche, approfondimenti, arricchiti dall’incontro diretto con Mons. Pericle Felici, segretario generale del Concilio; con lui il confronto si intensificava e la passione per la Chiesa diventava consapevolmente più matura.

Poi la svolta nella Chiesa, la svolta della Chiesa. L’11 ottobre 1962 si apre il Concilio.
Quella sera ero in San Pietro, quando al termine dei primi lavori, Papa Giovanni, dalla finestra del suo appartamento si rivolse alla folla che gremiva la Piazza e con voce delicata ma decisa pronunciò “Cari figlioli….” e l’intero discorso alla luna. Sentimmo forte l’abbraccio di un uomo che non era solo il Vicario di Cristo, ma un padre, un uomo umile e semplice, docile e determinato; coraggioso e convinto del suo messaggio. Era un testimone.
Il vento nuovo del Concilio ci sussurrava parole di rinnovamento, ma soprattutto ci mostrava visibilmente il volto materno della Chiesa, che nelle parole e nei gesti del Papa traducevano la gioia di essere figli della Chiesa.

Coraggio e determinazione che il Santo Padre seppe manifestare in un contesto politico abbastanza delicato. Il 25 ottobre di quell’anno è una data memorabile…
Seguivamo con apprensione la tensione crescente tra Stati Uniti e Russia, sul punto di un conflitto nucleare. Le installazioni missilistiche a Cuba e l’avvicinamento della flotta russa avevano generato la reazione americana e imposto il blocco navale.  Alle 12.00 di quel giorno seguimmo il radiomessaggio del Papa, seppur le ambasciate dei rispettivi paesi avessero già ricevuto da poco il testo di quello stesso messaggio “per l’intesa e la concordia tra i popoli”.

Qual era il clima che si respirava in quelle ore?
Io e i miei compagni di studio, attendemmo con trepidazione, e ascoltammo in un silenzio surreale le parole del Papa: “Mentre si apre il Concilio Vaticano II, nella gioia e nella speranza di tutti gli uomini di buona volontà, ecco che nubi minacciose oscurano nuovamente l’orizzonte internazionale e seminano la paura in milioni di famiglie”. Parole pronunciate con dolore e con speranza.
L’evolversi della situazione – che il mondo ben conosce – ci rese orgogliosi di quel Papa, e con lui partecipi di un evento storico.
Fu uno dei momenti più intensi del suo pontificato: la sua pastorale poneva al centro l’uomo e il bene comune, la pace e l’unità. La sua missione proseguì su questa linea aprendo la Chiesa cattolica alla conoscenza e al dialogo con Chiese e Nazioni o correnti di pensiero, che fino ad allora avevano spaventato…

Ma chi era, Angelo Roncalli? Oltre la figura del Pontefice e dell’ufficialità del Concilio, c’è un aspetto della sua persona a cui è particolarmente legato?
La sua periodica visita alle parrocchie romane, lo resero subito un Papa popolare: e questo per tanti di noi in formazione fu un esempio di grande umanità. Personalmente mi piace ricordarlo nelle visite che annualmente teneva presso il Seminario Romano Maggiore, dove era stato studente, e dove ritornava volentieri per la festa della Madonna della Fiducia, nel sabato precedente l’inizio della Quaresima. La familiarità di quei momenti rivelavano l’uomo cordiale e umile che è sempre stato; era felice di trovarsi lì e la serenità e la spontaneità delle sue omelie ce lo confermavano.

 Oltre il protocollo previsto…
Al termine di quelle giornate – lo ricordo come fosse ieri – ci disponevamo lungo un porticato perché ognuno potesse salutarlo, e lui rompendo puntualmente ogni protocollo, si soffermava a  parlare con ciascuno di noi, informandosi sulle Diocesi di appartenenza e chiedendo – con apprensione e simpatia – di quei preti o vescovi che aveva conosciuto presso le chiese locali, in occasione dei suoi viaggi per l’Italia, che da sacerdote aveva compiuto in quanto responsabile delle Pontificie Opere Missionarie. Un momento che si protraeva per lungo tempo tra l’impazienza del suo segretario, Mons. Capovilla, e la calma imperturbabile del Papa.

Non solo ricordi, ma anche un modello e uno stile di vita quello che ci ha lasciato Giovanni XXIII. Oggi cosa rimane di quegli anni?
Scoprivo in quel momento di essere membro della Chiesa ed ero felice di esserlo. La chiesa delle gerarchie a cui aravamo abituati assumeva adesso un altro volto. Papa Giovanni ci svelava e ci aiutava a comprendere il senso di una chiesa fatta dagli uomini, dal popolo di Dio, laici e sacerdoti, uomini e donne impegnati ad annunciare Cristo.

Poi la malattia frenò la storia travolgente del suo Pontificato…
L’11 maggio 1963 si recò al Quirinale in visita: fu in quella occasione che dal suo aspetto fisico percepimmo – con dolore – il suo stato di salute ormai provato dalla malattia. Ero in San Pietro quando si spense la luce della finestra del suo appartamento e di lì a pochi minuti la notizia che il Papa buono era morto.

Cosa lascia Papa Giovanni?
Il Concilio! Un svolta nella Chiesa, dalla quale non si può tornare indietro. La parola “aggiornamento” tanto cara ai riformatori e in primis al Papa, voleva significare – allora come oggi – trovare le strade, le parole i segni in grado di parlare al mondo in continua evoluzione, dell’autenticità del messaggio di Gesù e delle fede nella sua parola, e della bellezza di essere Chiesa.

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