di Francesca Costantino
Ho comprato diversi libri dello scrittore Alessandro Baricco. Uno di questi, “Emmaus”, mi ha affascinato prima di tutti gli altri. Ho sottolineato una frase durante la lettura, collegandola immediatamente all’evento evangelico e ad un dipinto. Queste le parole:
Cuori piccoli , li nutriamo di grandi illusioni, e al termine del processo camminiamo come discepoli ad Emmaus, ciechi, al fianco di amici e amori che non riconosciamo […]Per questo conosciamo l’avvio delle cose e poi ne riceviamo la fine, mancando sempre il loro cuore. Siamo aurora ma epilogo, perenne scoperta tardiva. Ci sarà forse un gesto che ci farà capire.
L’immagine riprodotta nella mia mente è invece il dipinto di un pittore impressionista tedesco, Frizt von Uhde. È intitolato, come è logico dedurre, “La strada verso Emmaus” e risale al 1890. Mostra tre uomini, di spalle, in cammino verso una meta, immersi in un campestre paesaggio. Due di essi indossano umili abiti che indubbiamente sono contemporanei; il terzo è nel mezzo e sembra invece abbigliato all’antica con una tunica di un intenso azzurro. L’autore, come in molte altre sue opere dedicate a significativi episodi del Vangelo, traspone in chiave reale un evento che “sente” e definisce “senza tempo”.
La posizione dei corpi svela una certa attitudine degli apostoli all’ascolto dell’uomo che li affianca, ma denuncia altresì, nello sguardo rivolto a terra, il mancato riconoscimento del maestro a causa della tristezza che attanaglia il loro cuore. Sono così induriti dalla rabbia, dal rancore, dalla sofferenza per una perdita che ritengono ingiusta e prematura, da non essere più in grado di comprenderne il senso, di avvertirne la rinnovata presenza.
I loro pensieri si concentrano così sulla morte, sul buio, sullo sconforto, tanto da renderli “ciechi” di fronte al riconoscimento della vita , della luce, della gioia, insomma di Cristo che sopraggiunge sul loro cammino. E, come l’opera ben racconta, è un Cristo che affianca i discepoli, che compie passi lenti ponendosi accanto; non di fronte, non dall’alto ma adiacente ad essi, sullo stesso piano.
È un Cristo paziente che accoglie perplessità e dubbi, che non si stanca di chiarire, rassicurare, insegnare. È un Cristo che condivide, che accompagna, che ama senza riserve, soprattutto quando siamo poco inclini a riconoscerlo. Sì, quei discepoli siamo anche noi quando, accecati dal dolore, lo additiamo come “forestiero” nella nostra vita. Come per i discepoli “ci sarà forse un gesto che ci farà capire”, l’unico che possa restituirci vita vera.