di Emilio Salvatore
Una lettura dell’evento del 29 aprile della canonizzazione dei due papi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, compiuta alla luce dell’effetto mediatico, conduce a letture fuorvianti.
Qualcuno ha detto che la Chiesa si auto-riconosce Santa nei suoi vertici, si auto-canonizza. Qualche altro ha riflettuto sull’opportunità di dichiarare Santi, a prescindere dalle persone, figure che già godono di appellativi e di fama di distinzione (di qui il titolo “Sua Santità”) presso il popolo di Dio.
Bisogna innanzitutto comprendere che canonizzare un Papa, come per altri Santi, dichiara che quella persona, stante le prove fornite dai miracoli, è un modello e un intercessore per il popolo cristiano. Quindi, con buona pace degli storici di professione e ancor più con quelli dell’ultima ora, non si tratta di dichiarare “Santi” dei Pontificati, né quello di Giovanni XXIII né quello di Giovanni Paolo II, ma il cristiano venuto da Sotto il Monte o da lontano sul soglio di Pietro.
La valutazione di un Pontificato è cosa molto complessa e quasi sempre caratterizzata da periodi storici felici e scelte drammatiche.
Per comprendere la santità di San Giovanni XXIII è fondamentale a mio avviso la lettura de’ Il Giornale dell’anima (cfr. A. G. RONCALLI, Il Giornale dell’anima e altri scritti di pietà, a cura di Loris Francesco Capovilla, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2000) da cui traspare tutta la ricchezza e la complessità dell’itinerario spirituale del credente, posto di volta in volta nei confronti delle scelte della vita (dal 1895, quando aveva 14 anni, fino al 1962, a pochi mesi dalla sua morte. In quelle pagine più che in qualsiasi altro scritto si coglie il pensiero, l’attività, la spiritualità, la pietas, la fedeltà alla tradizione, le aperture pastorali ecc. : Così si esprime lui stesso: «Comprendo che di un papa si voglia conoscere tutto e tutto servire alla storia…Ma la mia anima è in questi fogli, più che in qualsiasi altro mio scritto…».
Ciò che mi ha sempre colpito ed edificato in queste pagine, che ho amato da giovane seminarista, è l’amore alla Chiesa. Vorrei far cogliere come lo stesso Giovanni Paolo II si esprime in materia: «Chiamato alle responsabilità del supremo governo della Chiesa quando solo tre anni, o poco più, mancavano al compimento dell’ottantesimo anno di vita, Papa Giovanni XXIII fu un giovane, nella mente e nel cuore, come per un prodigio di natura».
Per quanto riguarda Giovanni Paolo II credo che la spiritualità sia ben tratteggiata dalle parole del suo amico e successore Joseph Ratzinger in un’intervista recentemente ripresa da Avvenire (7.03.2014) a firma Wlodzimierz Redzioch contenuta nel libro “Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici & i collaboratori raccontano”, pubblicato dalle edizioni Ares: «La spiritualità del Papa era caratterizzata soprattutto dall’intensità della sua preghiera e pertanto era profondamente radicata nella celebrazione della Santa Eucaristia e fatta insieme a tutta la Chiesa con la recita del Breviario. Nel suo libro autobiografico “Dono e mistero” è possibile vedere quanto il sacramento del sacerdozio abbia determinato la sua vita e il suo pensiero. Così la sua devozione non poteva mai essere puramente individuale, ma era sempre anche piena di sollecitudine per la Chiesa e per gli uomini […]. Tutti noi abbiamo conosciuto il suo grande amore per la Madre di Dio. Donarsi tutto a Maria significò essere, con lei, tutto per il Signore […].
Direi che dovremmo passare dalla lettura esterna dell’avvenimento, che è un messaggio dato da Papa Bergoglio e sottolineato dalle parole sobrie della sua omelia. L’esperienza di fede dei due li rende Santi, le scelte li uniscono nel cammino della Chiesa cattolica dal Vaticano II verso il nuovo millennio. Tutti gli altri eventi (la pace tra i due blocchi per Papa Roncalli, la caduta del muro di Berlino per Papa Woytila) non sono motivi di “santificazione”, ma testimonianza di come si vive la fede anche nei contesti contemporanei ad ogni papa, cristiano ed uomo.