Era già accaduto 64 anni fa, nel Mondiale perso in casa con l’Uruguay. Si è ripetuto ieri con la Germania multietnica di Loew. Per i verdeoro di Scolari comincia la resa dei conti. Se noi italiani pensavamo di aver fatto uno dei peggiori Mondiali della nostra storia, ora la disfatta di Prandelli e soci diventa un venticello leggero, rispetto all’uragano brasiliano
Leo Gabbi – Pazzesco, assurdo, incredibile. Quello a cui abbiamo assistito ieri in tv, insieme ad almeno un miliardo di persone è qualcosa che difficilmente rivedremo nella storia di un campionato del Mondo di calcio. Il Brasile, grande favorito della vigilia e padrone di casa, si è infatti sportivamente “suicidato” al cospetto di una pur fortissima Germania. I tedeschi avrebbero comunque vinto, ma neppure il più incallito degli ottimisti commentatori germanici avrebbe potuto immaginare una resa così umiliante. Adesso, comunque andrà a finire la finale di domenica, questo Mondiale verrà ricordato come quello dell’1-7, della disfatta verdeoro al cospetto di una nazione attonita, che finora con la sua passione aveva sopperito alle già evidenti carenze tecnico-tattiche mostrate dalla Seleção nel corso del torneo.
Così, a 64 anni dal primo incubo della sua storia, quel Mondiale perso in casa con l’Uruguay, ora la nefasta tradizione si ripete in maniera ancora più rovinosa, senza quella scia di tragedie che seguirono nel Paese dopo l’edizione del 1950, ma ancora con un alto numero di incidenti e disordini inaccettabili in un Paese che dall’orgoglio per aver organizzato questo torneo, ora deve convivere con una vergogna sportiva di dimensioni colossali. E non deve, a parziale scusante, neppure essere chiamata in causa la pur pesante doppia assenza di Neymar e Thiago Silva: quello che si è visto in campo ieri a Belo Horizonte non ha giustificazioni di alcun tipo ed è figlio della scriteriata condotta di un tecnico, Felipe Scolari, che ha pensato di potersela giocare alla pari contro i fortissimi tedeschi pur sapendo di non averne le possibilità e di una formazione sconclusionata, priva di nerbo e personalità, che ha letteralmente perso la testa dopo aver subito i primi due gol.
Quelle che si aprivano davanti al povero Julio Cesar erano praterie che la Germania ha utilizzato per impartire agli avversari una lezione memorabile: ora il timore è che per il Brasile cinque volte campione del mondo, ci vorranno anni per riprendersi da questa Waterloo. Difesa in bambola e mai compatta, attacco con ectoplasmi del calibro di Hulk, Fred e Oscar, mai capaci di giocare da squadra, ma solo in grado di provare giocate singole sempre naufragate e figlie della loro pochezza tecnica, il Brasile avrebbe dovuto capire dopo l’uno-due iniziale di Müller e Klose, che sarebbe stato meglio abbozzare, chiudendo la gara con una sconfitta onorevole. Ha invece sfidato i tedeschi, sapendo di non avere la cifra tecnica per poterli fronteggiare, spinti da un popolo che nel giro di pochi minuti è passato dalla festa a un’umiliazione di dimensioni globali.
Ai ragazzi di Loew, non sembrava vero: hanno affondato il coltello nel burro della retroguardia avversaria, non si sono mai fermati, continuando a macinare un gioco spumeggiante e arioso, ricco d’individualità, ma anche ammirevole dal punto di vista collettivo, tutto il contrario dei tentativi velleitari avversari, frutto solo di giocate individuali che andavano a cozzare contro una difesa granitica, capitanata dal formidabile portiere Neuer. Per i padroni di casa comincerà la resa dei conti e se noi italiani pensavamo di aver fatto uno dei peggiori Mondiali della nostra storia, ora la disfatta di Prandelli e soci diventa un venticello leggero, rispetto all’uragano, sportivo e non, che sta per abbattersi sulla Seleção.