Un’interessante testimonianza del teologo Piero Coda sulla crisi economica del Paese, il cui senso ultimo risiede nella più grave “crisi antropologica”. La fede deve operare a favore di un rovesciamento che ridoni autorevolezza alla categoria della “persona umana”
Luigi Crimella – Crisi economica, disoccupazione, e religiosità: c’è qualche rapporto? La fede può aiutare? Nella terza intervista della serie “resistere alla crisi”, il Sir lo ha chiesto a monsignor Piero Coda, docente di teologia sistematica e preside dell’Istituto Universitario internazionale “Sophia” di Loppiano (Firenze), fondato da Chiara Lubich e retto dal movimento dei Focolari.
La crisi economica attuale può essere interpretata anche in chiave teologica?
“La crisi che investe il mondo intero, anche se infierisce maggiormente su alcune fasce sociali e su alcuni Paesi, non è congiunturale ma sistemica. E proprio per questo è necessario darne una lettura e interpretazione anche in chiave teologica. Il fatto è che la radice profonda della crisi va cercata a livello antropologico: è una concezione della persona umana schiacciata sull’homo economicus che va ribaltata. E in ciò la dottrina sociale della Chiesa ha un ruolo cruciale da giocare”.
Dicono gli esperti che questa crisi sia paragonabile, per intensità e durata, a quella del 1929. Siamo nei biblici anni delle “vacche magre”?
“Penso – come dicevo – che la crisi odierna sia ben più profonda e pervasiva anche di quella del ‘29. Per cambiare in modo sostanziale la direzione di marcia, non servono operazioni di semplice maquillage e neppure sono sufficienti aggiustamenti in questo o quel settore: occorre cambiare cultura. Dovremmo tornare alla concezione relazionale della persona umana che – come scrive la ‘Gaudium et spes’, riecheggiando il Vangelo – può ritrovare se stessa solo attraverso il dono sincero di sé. Benedetto XVI nella ‘Caritas in veritate’ parla della necessità di una nuova prassi sociale ed economica ispirate al principio della giustizia e nella logica della gratuità e della solidarietà. Solo così si andrà nel verso giusto”.
C’è ancora nel popolo la “sapienza” dell’uomo timorato di Dio, che lavora, prega, ubbidisce ai comandamenti, oppure è tramontata?
“Nell’Antico Testamento la sapienza di chi è timorato del Signore e, perciò, pio e giusto, è animata dallo slancio profetico sotto l’azione dello Spirito di Dio. Con l’annuncio del Regno fatto da Gesù si disegna una nuova prassi sociale che propone, ad esempio, la comunione dei beni di cui è testimone la comunità cristiana delle origini. Col passare del tempo abbiamo poi avuto l’irruzione di vari carismi come quello di Benedetto da Norcia, di Francesco d’Assisi, fino ai santi sociali degli ultimi secoli e alla nascita di una vera e propria ‘dottrina sociale’ della Chiesa. È una nuova cultura, ancora minoritaria ma robustamente profetica, quella che oggi sta prendendo forma”.
Essere credenti aiuta a tenere duro in una crisi economica?
“La crisi, per il credente, è un invito alla pazienza e all’impegno. Non si tratta di fatalismo o di buonismo, ma di leggere, anche con tormento e persino con angoscia, ma con una condivisione sincera e fattiva accanto ai poveri, i segni dei tempi per comprendere che cosa ci è chiesto di convertire dentro di noi e nelle strutture economiche e sociali”.
Un orientamento religioso può favorire o al contrario ostacola l’impegno concreto nelle realtà economiche?
“Il Concilio Vaticano II insegna che l’impegno per la giustizia e la solidarietà non è un optional, ma una dimensione costitutiva del Vangelo. Non sogna Papa Francesco, e tanti con lui, una Chiesa povera e dei poveri? L’attività culturale, politica, economica ispirata dal Vangelo e dalla dottrina sociale della Chiesa è forma specifica e irrinunciabile della testimonianza cristiana. Naturalmente occorre acquisire le necessarie competenze per poter essere creativi, ad esempio, nel campo economico”.
Gli antichi insegnamenti sullo stile di vita sobrio, generoso, operoso possono contribuire a superare le attuali difficoltà? E come trasmetterli ai giovani?
“Come insegna Papa Francesco nella ‘Evangelii gaudium’ e come ci testimonia egli stesso col suo stile di vita, è profondamente sbagliato guardare al mondo e prima di tutto all’universo giovanile con sguardo pessimistico. Non è che i valori oggi vengano meno: si sta piuttosto trasformando la loro percezione e stanno affiorando nuove forme di vita per la loro messa in atto”.
Per quanto le giovani generazioni potranno “resistere” dentro una crisi come l’attuale se il lavoro nel frattempo non arriva mai?
“Con vigore e incisività Papa Francesco invita i giovani a ‘non lasciarsi rubare la speranza!’. Il pericolo mortale è che, nei nostri Paesi invecchiati e presi nella morsa di logiche egoistiche, la stanchezza e la disillusione che serpeggiano tra gli adulti e nelle classi dirigenti si comunichino anche ai giovani. Invece per invertire la rotta, dobbiamo dare più fiducia e sostegno ai giovani, fare loro spazio e offrir loro, in concreto, l’opportunità di reinventare le possibilità di lavoro e d’impegno. Siamo proprio sicuri che non c’è più posto per il nuovo?”.
Agensir