Paolo VI, il Papa che ha dischiuso per la Chiesa l’epoca moderna, diventa Beato, a distanza di sei mesi dalla canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II
M. Michela Nicolais – Un doppio abbraccio fraterno tra due Papi, all’inizio e alla fine della celebrazione. Sopra di loro, da un arazzo, un altro Papa li guarda sorridente, con le mani alzate verso il cielo e aperte quasi a voler abbracciare il mondo. Sei mesi dopo la doppia canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, passata già alla storia come la canonizzazione “dei quattro Papi”, nella stessa piazza Paolo VI – ilPapa che ha traghettato la Chiesa nella modernità con una sapiente e profetica rotta di navigazione – viene indicato al culto della Chiesa universale come esempio di santità. All’appuntamento non potevano certo mancare il Papa regnante, che ha definito più volte il Papa della sua giovinezza “una luce” sul suo cammino, e il Papa emerito, che dalle mani di Giovanni Battista Montini ha ricevuto, 37 anni fa, la porpora cardinalizia. Papa Francesco ha voluto che la beatificazione di Paolo VI avvenisse a conclusione del Sinodo straordinario sulla famiglia, prima tappa di un percorso sinodale che – un’altra prima volta per un Papa – si articola in due tappe per concludersi tra un anno con il Sinodo ordinario. Perché Dio è il Dio delle “sorprese”, e non bisogna aver timore delle “novità”, dice il Papa nell’omelia, durante la quale definisce Paolo VI “grande Papa”, “coraggioso cristiano” e “instancabile apostolo”, oltre che “timoniere del Concilio”. Del resto, la Chiesa stessa è “Sinodo”, come con “saggezza lungimirante” impastata di umiltà ha mostrato il nuovo Beato, che quasi cinquant’anni fa l’ha istituito come espressione di “sinodalità” e “collegialità”. Alla fine della cerimonia di beatificazione, alla quale hanno partecipato circa 70mila persone, il Papa si è intrattenuto a lungo con i padri sinodali e i concelebranti presenti, salutandoli uno ad uno e scambiando con ognuno di essi qualche parola. Poi il “bagno di folla” con la jeep bianca scoperta, in una giornata romana riscaldata da un sole estivo e dalla presenza in piazza di tutte le generazioni, dai nonni ai nipoti con biberon e passeggini. Perché la Chiesa è famiglia di famiglie.
Ore 10.00 Il Papa emerito fa il suo ingresso sul sagrato, salutato dagli applausi della folla che lui ricambia affettuosamente salutando con la mano. Occupa la prima sedia rossa della prima fila, alla sinistra del palco, settore riservato ai cardinali e vescovi concelebranti e ai padri sinodali. Un ombrellino bianco e giallo lo ripara dal sole. Lo sguardo di Benedetto è concentrato e assorto, fisso sul libretto della celebrazione che ha tra le mani. Altrettanto raccolta e composta è la folla dei fedeli, quelli delle tre diocesi di Papa Montini in testa: Brescia con oltre 5mila fedeli, Milano con 3mila, e Roma che gioca in casa. Prima dell’Angelus, Francesco dedicherà loro un saluto particolare. Tra gli striscioni, quello degli abitanti di Concesio, città natale del nuovo Beato, e quelli variopinti delle tante scuole paritarie che sparse per l’Italia portano il suo nome.
Ore 10.20 Il primo gesto di Francesco, che arriva sul sagrato, è quello di dirigersi dal suo predecessore e di abbracciarlo, mani nelle mani, occhi negli occhi. La folla dei fedeli esplode in un applauso, mentre il Coro della Cappella Sistina e il Coro della diocesi di Milano intonano l’Inno del nuovo Beato, appositamente composto per l’occasione. Comincia la Messa, con il postulatore che legge la biografia di Paolo VI e Papa Francesco che ascolta anche lui assorto e concentrato, il capo chino e le mani congiunte.
Ore 10.45 Il Papa pronuncia la formula di beatificazione e da questo momento la Chiesa ha un nuovo nome da indicare al culto universale: la memoria liturgica sarà il 26 settembre, giorno della sua nascita. L’arazzo con l’effige di Paolo VI, le mani alzate verso il cielo e i piedi che calpestano il selciato dei “sanpietrini” romani, viene finalmente scoperto e al canto dello “Jubilate Deo” si portano all’altare le reliquie del beato: una delle due maglie, quella più insanguinata, che indossava a Manila durante l’attentato del 1970.
Ore 11.15 Arriva l’attesa omelia del Papa, dieci minuti intensi e appassionati. “Grazie! Grazie nostro caro e amato Papa Paolo VI!”, dice Francesco e la folla applaude. Quando poi cita la pagina del diario personale di Paolo VI relativa al giorno dopo la chiusura del Concilio – “Forse il Signore mi ha chiamato e mi tiene a questo servizio non tanto perché io vi abbia qualche attitudine, o affinché io governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa, e sia chiaro che Egli, e non altri, la guida e la salva” – gli applausi si prolungano. Protagonista della prima parte dell’omelia, il Dio delle “sorprese”, che non ha paura anzi ama le “novità”, delle quali non si deve avere “timore”. Ma anche l’identikit del cristiano che “guarda alla realtà futura, quella di Dio, per vivere pienamente la vita – con i piedi ben piantati sulla terra – e rispondere, con coraggio, alle innumerevoli sfide nuove”. Come quella del Sinodo, in cui “abbiamo sentito la forza dello Spirito Santo che guida e rinnova sempre la Chiesa. Abbiamo seminato e continueremo a seminare”.
Ore 12.00 Anche l’Angelus è tutto dedicato al nuovo Beato. Nel giorno in cui la Chiesa celebra la Giornata missionaria mondiale, Francesco ricorda l’Evangeliinuntiandi, che ha fatto di Paolo VI “uno strenuo difensore della missione ad gentes”. Infine la devozione mariana: è stato Papa Montini ad aver proclamato Maria “Madre della Chiesa”, a chiusura della terza sessione del Concilio. E sempre alla protezione di Maria, è storia di questi giorni, il Papa ha affidato il Sinodo. Prima di congedarsi, l’altro caldo abbraccio a Benedetto e la sosta, reverente, di fronte all’arazzo che campeggia sulla facciata della basilica.