Non solo un grande imprenditore, ma anche un benefattore. Il suo nome resta per l’Italia un riferimento e un simbolo
Agensir – All’età di 89 anni, dopo alcuni mesi di malattia, è morto il patron della Ferrero. Un marchio storico costruito da un imprenditore-benefattore. È difficile capire il valore di quest’uomo slegandolo dalla sua grande fede. E dalla sua spiritualità d’impronta mariana. In ogni stabilimento, come ad Alba, doveva esserci una Madonnina. “È a lei – disse un giorno ai dipendenti – che dobbiamo il nostro successo”.
È morto il papà della Nutella, Michele Ferrero. Ma anche di Rocher, Mon Cheri, Pocket Coffe, Kinder Brioss, Estathè. Se n’è andato sabato 14 febbraio, all’età di 89 anni, dopo alcuni mesi di malattia. Oggi lo piangono in tanti, non solo gli amanti della crema di cacao e nocciole più famosa del mondo, ma anche gli oltre 34mila collaboratori presenti in 53 Paesi, nei 20 stabilimenti produttivi e nelle 9 aziende agricole del Gruppo dolciario. Insieme a loro e alle rispettive famiglie, ci sono anche gli ex dipendenti, gli “anziani Ferrero”, e l’intera città di Alba, che ha proclamato il lutto cittadino.
In effetti Michele Ferrero non è stato solo un grande imprenditore, ma un benefattore. Prima di tutto perché ha saputo rendere felici tanti bambini, tante mamme e nonne con l’idea geniale di vendere il cioccolato non più in grandi e lussuose scatole, ma a poco prezzo, in pezzi singoli e ben confezionati. Ogni giorno dell’anno poteva così diventare occasione per un piccolo regalo o per una breve parentesi di dolcezza, alla portata di tutte le tasche. Senza dimenticare la qualità: ancora oggi, nei mesi caldi, i cioccolatini Ferrero vengono ritirati dai negozi perché l’azienda vuole offrire solo prodotti freschi e integri. Ma c’è un secondo motivo per cui Michele Ferrero è stato un benefattore per l’Italia intera e, in particolare, per Alba e il suo territorio: ha creato molti posti di lavoro, ma senza sottrarre le persone ai campi, alle vigne. Questo è uno dei fattori che ha permesso all’Albese, nel dopoguerra, di passare da territorio della “malora”, come raccontava lo scrittore Beppe Fenoglio, a luogo di sviluppo economico e di benessere. “Michele Ferrero – ci ha confidato don Dino Negro, parroco del duomo di Alba – ha saputo mettere la sua competenza e le sue intuizioni a servizio della gente, del popolo, permettendo a tante famiglie di vivere dignitosamente”.
La filosofia di vita di Michele Ferrero è racchiusa nelle tre parole, “lavorare, creare, donare”, che compaiono nel logo della Fondazione Ferrero, nata nel 1983 a favore degli ex dipendenti e diventata, sotto la guida di Maria Franca, moglie di Michele, anche luogo di tante iniziative artistiche e culturali. Queste tre parole esprimono bene il carattere di piemontese vecchio stampo che ha caratterizzato Michele Ferrero: dedizione totale al lavoro, alla famiglia, nella più assoluta discrezione, con grande umiltà. La sua riservatezza è sempre stata proverbiale: mai un’intervista, mai una partecipazione a un evento mondano, mai un interesse esplicito nelle vicende politiche. La terza parola presente nel motto della fondazione, “donare”, Michele l’ha messa in pratica in vari modi, in particolare con la creazione, nel 2005, delle Imprese sociali Ferrero, già attive in India, Sudafrica e Camerun. Si tratta di vere imprese, che però agiscono con uno spirito sociale, attente come sono a creare posti di lavoro nelle aree più svantaggiate del mondo e a realizzare progetti e iniziative sociali, rivolte soprattutto ai bambini.
C’è però un segreto al fondo di tutta la vita di Michele Ferrero: la sua grande fede. Ogni domenica non mancava alla Messa, recandosi da solo o con la moglie Maria Franca nel duomo di Alba e nel tempio di san Paolo, la chiesa dei Paolini. Come ci racconta ancora don Dino Negro, con il quale Michele s’intratteneva anche per qualche consiglio spirituale, la sua spiritualità era d’impronta mariana. Ogni mattina si fermava a pregare la Madonna nella cappellina a lei dedicata, attorno alla quale era sorto il grande stabilimento di Alba. “È a lei – disse un giorno ai dipendenti – che dobbiamo il nostro successo”. Michele ha voluto perciò che in ogni stabilimento ci fosse una “Madonnina”. Una volta, visitando una fabbrica Ferrero negli Stati Uniti, gli dissero che non si era potuta installare la statuina della Madonna per rispetto della sensibilità locale e perché c’era il rischio di sanzioni. Allora rispose che preferiva andare in prigione, ma la Madonnina doveva esserci. E così era stato. Michele era devoto soprattutto alla Madonna di Lourdes: ogni anno, a maggio, radunava i principali manager dell’azienda nella cittadina francese sui Pirenei, unendo preghiera e progetti imprenditoriali.
Michele Ferrero ha lasciato il figlio Giovanni alla guida dell’impresa da lui fondata e amata, una “multinazionale a conduzione familiare”, nella quale si respira un vero e proprio clima di famiglia. Ora è andato a ricongiungersi con l’amato figlio Pietro, morto prematuramente nel 2011 in Sudafrica.
Antonio Rizzolo, direttore di “Gazzetta d’Alba”