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Alife. Appuntamento con una Storia illustre. Dai Romani fino ad oggi, il racconto della fertile campagna alifana

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Angelo Gambella, storico e studioso di origini alifane, torna a parlare della sua città e lo fa passando in rassegna i documenti che hanno citato Alife e la sua fertile campagna.
Dalle sue parole il timore che – in un paesaggio seppur mutato – la salute di questa terra possa correre gravi rischi

Angelo Gambella – I versi di Silio Italico: le campagne di Alife splendenti del sorriso di Bacco denotano che sin dall’antichità classica il territorio alifano era noto per la fertilità del terreno. Ancora nel medioevo le testimonianze si ritrovano nitide nel racconto dell’abate di Telese, laddove appare la grande quantità delle acque utilizzate intensivamente dagli alifani, tanto che pure re Ruggero II di Sicilia avrebbe potuto irrigare un suo giardino sfruttando l’acqua del Torano. In età normanno-sveva e poi nel periodo angioino il paesaggio intorno alle fortificazioni medievali di Alife era molto diverso da quello attuale: coesistevano diversi mulini alimentati dal Torano, i cui proprietari erano il conte, chiese ed altri enti religiosi, e perfino ordini cavallereschi, nobili e privati cittadini. Le testimonianze documentali in tal senso sono numerose.
Nel Trecento la Civitas di Alife era splendente e, nonostante le difficoltà attraversate, anche nel Quattrocento e nel primo Cinquecento Alife si configurava come un centro di primaria importanza. Le lotte degli alifani contro i soprusi feudali emergono in tutta la loro forza quando nel 1449 l’Università otteneva, per privilegio reale, il pieno possesso delle Montagne e della Selva, unitamente ad alcuni diritti civici. Il potere feudale doveva scendere a patti e subire una stretta ai propri abusi nelle campagne. E così quel conte che faceva transitare le proprie mandrie nei campi seminati degli alifani fu costretto a desistere e a riconoscere un simile divieto negli Statuti.
Le relazioni di scrittori del Seicento e del Settecento mostrano ancora la grande ricchezza del suolo, la fertilità del terreno, gli orti coltivati dentro e fuori le mura e lo sfruttamento del Torano per l’agricoltura nelle campagne. La conquista statutaria dei cittadini del Rinascimento fu messa a dura prova molto tempo dopo quando un nuovo Signore, divenuto principe, si faceva beffe dei contadini lasciando passare gli animali impunemente nei campi seminati. Soprusi definitivamente caduti solo nei primi anni dell’Ottocento, quando a Napoli fu sentenziata la validità degli antichi diritti acquisiti dai medievali.
grano_alife_biodigestore-anaerobico_general-constructionMeno di cent’anni fa, le potenzialità del territorio emergono attraverso una corposa relazione inedita del nascente Consorzio di bonifica del Sannio Alifano: Alife era “destinata ad avere un importante avvenire agricolo commerciale e industriale di prim’ordine”. Ma se l’ente, per statuto, avrebbe dovuto avere sede a Piedimonte con uffici ad Alife, Vairano Patenora e Caiazzo, in realtà tutto venne accentrato a Napoli. Il pagamento della tassa di bonifica fu mal digerito dai cittadini ed inizialmente lo stesso Podestà appoggiò le lamentele, che nel novembre 1931 confluirono in una vera e propria sollevazione popolare che si manifestò ad Alife con 200 firmatari di una dura lettera di protesta. Tuttavia, in piena “battaglia del grano”, tutto fu rimesso in ordine e furono effettivamente programmate, e talvolta realizzate, strade, imprese agricole, nuove coltivazioni. Alife sembrava realmente indirizzata verso l’attuazione di un importante progresso agricolo.
Il paesaggio intorno alla città iniziava a mutare drasticamente sul finire della seconda guerra mondiale, con il decisivo contributo, in termini di gravissimi danneggiamenti, dei guastatori tedeschi che, distruggendo quattro mulini e la centrale elettrica, concorrevano ad appesantire il già ponderoso bilancio distruttivo del bombardamento americano. Se gli anziani ricordano con nostalgia la perduta “cascata” sul Torano Nuovo presso Porta Napoli, non sembra emergere nell’opinione pubblica, in tutta la sua gravità, lo sconvolgimento ambientale derivato dalle drammatiche decisioni di utilizzare le nostre preziose acque per altri scopi, convogliandole dalla Sorgente di Piedimonte verso l’acquedotto Campano e quasi azzerando la portata del Torano verso Alife, ovvero quell’abbondante corso d’acqua che da secoli irrigava la fertile pianura alifana.
Dalle carte d’archivio del Consorzio si possono leggere tentativi di riparazione; in esse si parla dell’irrigazione con acque residue del Torano-Maretto, della sistemazione del Torrente Forma, di opere di difesa fluviale a monte del Ponte Margherita sul Volturno. Nel 1951 si afferma che “la vasta zona consortile, compresa fra il comune di Alife e il fiume Volturno è tra le più fertili di tutto il comprensorio di bonifica del Sannio Alifano in quanto la natura irrigua del territorio congiunta alla vicinanza dell’importante centro abitato di Alife, pongono in evidenza la possibilità di una proficua e profonda trasformazione con relativo incremento economico-produttivo”.
Seppure in uno scenario radicalmente mutato, quelle parole sono ancora attuali e mal si conciliano con le notizie di attualità e i timori di nuovi sconvolgimenti ambientali. La conoscenza della storia è fondamentale per evitare il ripetersi di errori e tragedie. Il ricordo delle battaglie combattute dai cittadini per il riconoscimento dei propri diritti e per la conferma di quanto si era faticosamente guadagnato, sono un incitamento a non rinunciare mai alla difesa del territorio in cui si vive. A maggior ragione di un territorio con una storia più che bimillenaria come Alife.

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