Ecco la seconda riflessione, tra arte e fede a cura di Francesca Costantino.
Anche noi nel cenacolo con Gesù
Francesca Costantino – È la sera di un giovedì ma non è un giorno qualunque . Gli apostoli, come di consuetudine, condividono con Gesù la cena, in un’atmosfera di pacata ed amorevole fraternità. Prima, però, il Maestro ha lavato loro i piedi: si è cinto di un asciugamano ed umilmente, con pazienza, si è chinato sulla parte del corpo più “terrena”, più sporca, più stanca, e ha compiuto un gesto, una mansione, solitamente compito gravoso riservato agli schiavi e ai servi. Perché? I discepoli hanno esitato e, stupiti, hanno ritratto i loro piedi. Poi Gesù ha parlato di carità, di servizio e di esempio e i dodici hanno ne hanno compreso il prezioso valore.
Ora, presso la mensa, si ritrovano nuovamente sorpresi dalla forte e tenace dichiarazione di Gesù, che dice: “Uno di voi mi tradirà”. Queste drammatiche parole scatenano quelli che Leonardo da Vinci definisce “i moti dell’anima”, visibili nell’opera d’arte più famosa del Rinascimento italiano: “L’Ultima Cena” (1494-1498) del refettorio domenicano di Santa Maria delle Grazie a Milano. È un dipinto che contiene un carico emotivo senza precedenti, sorretto dalla sapienza tecnica, compositiva e stilistica tipica di Leonardo . Tutte le reazioni sono descritte dall’artista con cura e minuzia: lo stupore, lo sdegno, la paura, l’incredulità, la rabbia, il dolore. Ogni discepolo risponde in modo personale ed esclusivo alla rivelazione di Gesù, in una maniera che è tipicamente umana e razionale. C’è chi, come Tommaso, alla sinistra di Gesù, alza minaccioso il dito indice come a pretendere spiegazioni, chi, come Giacomo Maggiore, inorridito, allarga le braccia. chi, come Filippo, si alza di scatto in piedi portandosi le mani al petto per mostrare il suo dispiacere; chi, come Matteo, Giuda Taddeo e Simone Zelota, ne discute in disparte, continuando, dubbiosi, a ripetersi le parole di Gesù; chi come Giuda, alla destra di Gesù, si divincola e ritrae, sentendosi chiamato in causa; chi, come Giovanni, china dolcemente il capo in segno di sconforto ed afflizione; chi, come Pietro, Andrea e Bartolomeo cerca di avvicinarsi il più possibile a Gesù, sperando di aver compreso male; chi, infine, come Filippo, alza, arrendevole, le mani per dimostrare la sua innocenza.
La scena, così turbata ed agitata, si costruisce intorno alla figura di Gesù che, saldo e immobile, indica il pane e il vino dell’Eucarestia, simboli dell’imminente destino ma soprattutto unici strumenti di vera salvezza.
Riflesso umano di una volontà divina, gli apostoli siamo noi, rappresentano la nostra fragile umanità e la nostra incapacità di accettare ciò che non è possibile cambiare: una vita vera, fatta anche di dolore e sconforto, di rivelazioni scomode e faticose ma sostenute ed incoraggiate da una sola verità: la fiducia in Dio.