di Emilio Salvatore
Il vangelo pasquale (Mc 16,1-8) che sentiremo risuonare quest’anno nella Veglia del sabato santo, al culmine del cammino quaresimale che, in quest’anno della Parola ci ha invitati a rimetterci in ascolto del vangelo, termina in modo assolutamente provocatorio.
Ecco il fatto. Le donne, Maria proveniente da Magdala (villaggio sul lago, 4,5 Km a nord di Tiberiade), Maria (madre) di Giacomo il minore e di Ioses e Salome, vanno alla tomba dopo aver comprato oli aromatici per imbalsamare il corpo.
Sono preoccupate della grossa pietra che copre l’ingresso della tomba; giunte al sepolcro però essa è già rotolata via e dentro il sepolcro trovano un giovinetto vestito di bianco che offre loro un annuncio inaudito. È il cuore del messaggio pasquale: “Voi cercate il Nazareno, il crocifisso (…) risorto. Andate a dire a Pietro e agli altri che vi precede in Galilea, là lo vedranno!”.
Come la pietra era stata ribaltata, così le presunte sicurezze femminili (l’omaggio estremo al corpo morto del maestro) sono sbalzate lontano. La reazione delle donne ci colpisce: la fuga e il silenzio. Il vangelo di Marco (16,8) finisce così; il vangelo della notte di Pasqua si blocca, lì dove comincia il nostro percorso.
Le donne sono prese da tremore e stupore. La risurrezione va oltre le loro funeree previsioni. La risurrezione di Gesù spiazza, perciò induce in esse un senso di incomprensione, di stupore che le spaventa perché le sovrasta. È un’eccedenza del mistero. Di fronte al quale fuggono.
Sì, è vero, sono discepole; sì, hanno condiviso con Gesù un percorso; sì, sono andate in cerca di lui, ma si sono trovate di fronte all’inatteso e fuggono.
Molti cristiani, non solo i non credenti, a volte si aspettano un cristianesimo facile, consolatorio, vittimistico, minimalista, per non dire anche superstizioso ed occasionale. La risurrezione scioglie come neve al sole queste formule tradizionali e inconsistenti, che purtroppo perdurano ancora in mezzo a noi. Siamo come le donne pronte a seguire un corteo funebre, ma incapaci di partecipare del mistero della vita nuova che tocca ogni aspetto dall’esistenza personale, bisognosa di una decisa rifondazione, nel senso di una cura delle relazioni con Dio (la preghiera, la meditazione della Parola di Dio, la vita sacramentale, la testimonianza della carità) e con gli uomini (l’ascolto, il dialogo, l’accoglienza, il rispetto, la fraternità), alla vita sociale (il rispetto della legalità, la “guarigione” della corruzione che alligna nelle istituzioni, la fine del clientelismo, la ripresa di una corretta dialettica democratica).
Le donne hanno anche paura. Infatti accogliere la risurrezione significa sbloccare le pietre che riposano sulla nostra anima, dare fiato al coraggio, aprire percorsi nuovi, senza temere il giudizio dei benpensanti, cambiare verso alla nostra vita, essere uomini e donne nuovi. Fa paura cambiare, perché significa credere nella novità, nella possibilità che le cose e le persone si indirizzino verso un nuovo percorso.
Fare pasqua davvero non è solo girare per i “cosiddetti sepolcri”, rituali o esistenziali, preparare la pastiera, andare alla processione del venerdì santo, aspettare l’acqua benedetta: cose tutte che hanno un senso se andiamo oltre la fuga e la paura.
Fare pasqua è superare proprio la fuga dal mistero, da ciò che va oltre le chiavi di lettura scontate della visione di Dio e dell’uomo, sedimentatasi nella nostra vita.
Fare pasqua è superare il silenzio che spinge le donne ad un’omertà inutile verso i fratelli.
Fare pasqua è diventare annunciatori del messaggio della speranza: un modo nuovo di essere uomini e donne, modo nuovo di vivere la fede (come ci ricorda Papa Francesco). Un modo nuovo di amare è possibile!
Rotolate le pietre di ostruzione, il sepolcro, ossia la linea d’ombra della morte, del male e del peccato. Può essere percorsa nel senso opposto di circolazione: dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dal silenzio e dalla paura alla gioia del vangelo.