di Francesca Costantino
Roma. In una sala della Galleria Nazionale d’Arte Moderna è ospitata una grande tela quadrata, di due metri per ogni lato. Ne riconosco lo stile ma mi avvicino per confermare la mia ipotesi: è la “Crocifissione” dell’artista siciliano Renato Guttuso, un olio su tela del 1941. È un dipinto “viscerale”. Osservandolo attentamente si ha, infatti, l’impressione di essere parte attiva del dramma, di vivere “di pancia e di cuore” l’angoscia e il dolore del momento. Ma si tratta di un evento “senza tempo” poiché, mentre i miei occhi indagano con cura i particolari, la mia mente rimanda a medesime scene contemporanee, a brutalità, omicidi e catastrofi di guerre non troppo remote, sempre più spesso attuali.
Eppure Gesù muore ogni anno, nel fiducioso tentativo di salvare un’umanità ormai corrotta, avvelenata, disonesta, infedele ma pur sempre “figlia”. Per questo motivo i personaggi dell’opera sono tutti nudi, spogliati della loro identità per rappresentare tutto il genere umano; quello che vende il suo corpo, come la Maddalena, e poi penitente si “arrampica” alla croce, come per coprire di un candido drappo la figura, non più mortale, ma divina del Cristo; quello che si dispera, come le pie donne, a braccia sollevate o nascondendosi il volto , cercando di contenere un dolore di fatto incontenibile; quello condannato e punito, come il ladrone, che vive lo stesso destino del Messia, ma che fino all’ultimo sceglie di essere salvato o dannato; quello che deride e beffeggia la Verità, come il soldato dalla spugna imbevuta d’aceto o quello che, al gioco dei dadi, spartisce la preziosa veste del Re dei Giudei.
E poi la mia attenzione cade sul tavolo in primo piano, dove alcuni simboli della passione ricordano gli strumenti e gli alibi attraverso i quali l’uomo compie le insane crudeltà: i chiodi e il martello a rappresentare le offese, le umiliazioni e le ingiurie che, insistenti, trapassano l’anima, la trafiggono permanentemente; il coltello a simboleggiare le malvagie azioni che feriscono e lacerano; infine le forbici ad indicare la ferocia che pone fine alla vita.
Resto ancora qualche minuto a fissare la tela di fronte a me e a meditare la santità di un venerdì.