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Erri De Luca, Mare nostro che non sei nei cieli

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Mare nostro che non sei nei cieli
e abbracci i confini dell’isola e del mondo
sia benedetto il tuo sale
sia benedetto il tuo fondale
accogli le gremite imbarcazioni
senza una strada sopra le tue onde
i pescatori usciti nella notte
le loro reti tra le tue creature
che tornano al mattino
con la pesca dei naufraghi salvati.
 Mare nostro che non sei nei cieli
all’alba sei colore del frumento
al tramonto dell’uva di vendemmia.
Ti abbiamo seminato di annegati
più di qualunque età delle tempeste
tu sei più giusto della terra ferma
pure quando sollevi onde a muraglia
poi le abbassi a tappeto
Custodisci le vite, le visite cadute
come foglie sul viale
Fai da autunno per loro
da carezza, da abbraccio, da bacio in fronte
di padre e madre prima di partire
Al mare e al suo variopinto fondale spetta il compito ingrato di accogliere imbarcazioni
sventurate e corpi di naufraghi, che finiscono al mattino nelle reti dei pescatori.
Individui non vittime di tempeste né di rotte sbagliate, ma allora chi è il loro carnefice?
Nell’inutile affanno che questa domanda arreca, preghiamo te, o mare, affinché
possa almeno fungere per loro da padre e madre

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