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Editoriale / Mettiamoci l’anima

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di Grazia Biasi

E’ il 26 luglio 2015. Stasera è festa per tutti. Da lontano o più vicino si scorgono fuochi d’artificio alzarsi, ove a ritmi lenti, ove con più vivacità. Scoppiettanti somme di denaro nell’aere. La serata non è calda e pesante come le precedenti; i temporali di questi pomeriggi ci hanno riservato una tregua rispetto all’afa asfissiante delle ultime settimane, come a concederci di goderla, questa festa in onore di San Gioacchino e Sant’Anna. L’appuntamento è stato per la tarda serata, quando tutte le campane hanno suonato, quasi contemporaneamente in moltissime parrocchie della Diocesi di Alife-Caiazzo.
La tradizione popolare di alcuni nostri piccoli borghi ci rimanda ad un evento triste e remoto: un terremoto che in questa giornata provocava paura e dolore, le cui cause i più anziani attribuiscono alla poca fede di uomini “senza timor di Dio”. È solo una delle feste di questa estate che si alterneranno fino al più fresco e piovoso autunno.
Non c’è estate senza festa del patrono, e non c’è patrono senza una vita di santità.
Inevitabile, allora, ricondurre questa festa a Dio, e alla testimonianza di Gesù Cristo che hanno dato i “suoi” santi; altrimenti perché sarebbero tali? Che motivo avremmo a condurre quei busti per le strade delle nostre città? Perché una processione o il bacio di una reliquia non è un rito propiziatorio. Lo sappiamo tutti…più o meno.
Santi e festeggiati per mezzo della loro fede. In essa un popolo ha riconosciuto la “divinità”, colto la presenza di Dio nell’umanità di qualche loro gesto, delle parole, della testimonianza quotidiana. Hanno versato, soffiato, donato l’anima con gioia e generosità, con letizia e umiltà nelle scelte quotidiane. L’avevamo forse dimenticato? Che si chiamino San Sisto I, Santo Stefano Menicillo, San Ferdinando d’Aragona, San Giovan Giuseppe della Croce, San Marcellino, Sant’Anna, san Michele o sant’Antonio: ci hanno messo l’anima, ed oggi, ad ognuno di essi tocca il giro dei nostri paesi a spalla di uomini e donne che tanto ci tengono.san-sisto-alife-festa-2015-clarus
Luminarie, torroni, concerti bandistici, zucchero filato, novene e predicatori, caramelle gommose, giostre e trenini, muso di maiale, fiere artigianali, processioni, noccioline americane, noccioline zuccherate, fuochi d’artificio, panini alla piastra, granite al limone, un comico o un cantante, lotterie, ferie dal lavoro. Per qualcuno esiste ancora la tradizione del vestito nuovo. Li citiamo tutti i “colori di una festa, perché ognuno possa ritrovarsi in alcuni di essi, e fare memoria di un momento felice, presente o passato, e collocarsi in esso: quale ruolo abbiamo nelle nostre feste di paese? Spettatori di una statua che passa, e commossi doniamo la consueta offerta? Agguerriti per ottenere di portare a spalla il nostro Patrono? O protagonisti di santità? Si proprio come loro (San Sisto e tutti gli altri), protagonisti di carità e testimoni di verità? Religiosità e anima popolare nei secoli hanno trovato in occasioni come queste la possibilità di piacersi vicendevolmente, fino ad essere l’una nell’altra, talvolta con eccessi della seconda sulla prima. La “festa di paese”, così nota nel gergo comune, con il suo antico significato antropologico – seppur mutata nei secoli – non ha mai smesso di essere un necessario momento di identità, il passo più lento – in quei  tre o quattro giorni dell’anno – rispetto al ritmo dei mesi passati. A noi, gente di paese, questa festa fa bene: per ritornare alla tradizione, a ciò che ci fa sentire a casa, ci regala caro ricordo di “come era bella un tempo….”.
Cosa ne è del presente? Quale emozione, quale valore porta con sé la festa del presente?
La preoccupazione di molti sembra fermarsi a quando, in tempi di vacche grasse, c’era il cantante “buono”, quello di grido maggiore che riempiva le piazze e il senso di attaccamento alla tradizione era più forte e sentito. Nel frattempo, la preoccupazione maggiore degli adulti è l’inspiegabile assenza dei giovani alla processione, alla novena, ma non sulle giostre. Così che tra ricordi, identità un po’ perdute e un po’ custodite, e scaramucce tra comitati festa rivali (perché…diciamolo c’è sempre un po’ di competizione!) il Santo, e con lui Gesù Cristo come per magia sono scomparsi! “Gesù Cristo c’entra meno… Questa è la festa di Sant’Antonio! “ Sembra essere la risposta non pronunciata di chi partecipa alla novena in preparazione alla festa, e poi con opportuna discrezione, prima che inizi la celebrazione eucaristica si alza dal banco e va via. Eh, si! Il popolare che è in noi vince spesso.
E la fede? Quella per la quale siamo chiamati a metterci l’anima?
L’anima, sì. Come hanno fatto i santi che abbiamo portato in processione.
La fede che ci fa essere come Gesù.
La fede che ci fa scomodare per i fratelli; la fede che ci fa pretendere dai politici la legalità e la trasparenza sempre, e non connivenze.
La fede che chiede di essere catechisti testimoni.
La fede che chiede al marito e alla moglie di essere fedeli.
La fede che chiede al datore di lavoro di ripagare onestamente il suo operaio.
Quella sì che dovrebbe essere il fuoco da esplodere; il fuoco che il cristiano fa brillare per accendere la sua vita e quella degli altri. Non ha un costo, non si misura in soldoni e non si disintegra in aria.
In ogni caso, anche questa volta, sono andati i tre colpi “a secco” per concludere la serata, e arrivederci alla prossima.
Ma è stata davvero festa per tutti?
Un pensiero è andato agli artisti dei fuochi d’artificio (della ditta Bruscella) che hanno perso la vita a Modugno nell’esposizione della loro fabbrica. Alcuni di loro dovevano essere ad Alife, proprio in queste sere. In segno di rispetto, per la locale festa di Sant’Anna, nessuno spettacolo pirotecnico, ma la preghiera per le loro anime e le famiglie rimaste qui.

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