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Editoriale / Benvenuti a Firenze

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di Claudio Turrini, vicedirettore ToscanaOggi

 

In Gesù Cristo il nuovo umanesimo». A leggere il titolo del Convegno ecclesiale nazionale (9-13 novembre 2015) non stupisce che i Vescovi italiani abbiano scelto come sede Firenze. La città del David di Michelangelo è una sorta di icona dell’Umanesimo. E poco importa se sono passati oltre cinque secoli da quella stagione felice di arte, cultura e pensiero filosofico, sulla cui cifra religiosa peraltro si discute ancora. Ma quando il Consiglio permanente della Cei, nel gennaio 2012, la designò come sede del V Convegno ecclesiale nazionale gli orizzonti della Chiesa italiana erano ben diversi da oggi. Ne è testimone il titolo provvisorio, scelto nel settembre del 2012: «La fede come criterio veritativo d’interpretazione del vivere umano».

«Firenze 2015 non sarebbe stato lo stesso senza il 13 marzo 2013», ha dichiarato il Segretario generale della Cei, Nunzio Galantino, sottolineando il «ruolo importante» giocato da Papa Francesco nella predisposizione del «taglio» da dare al convegno. «Non un convegno dall’alto in basso – ha spiegato il Segretario della Cei -, non analisi sociologiche corredate da pensosi interventi, ma testimonianze, esperienze, racconti dal basso». Così, prima di arrivare a Firenze, il 10 novembre, Francesco ha voluto fare una tappa a Prato per incontrare una realtà lavorativa, economica e sociale che ha sofferto in modo particolarmente duro per la crisi e che oggi è fortemente connotata dalla presenza straniera, e in particolare da quella cinese. Poi a Firenze nessun approccio «turistico» ai grandi tesori artistici, ma l’incontro con l’anima culturale e caritativa della città e il pranzo alla mensa della Caritas.

Incrociare pastorale, cultura e misericordia.folla È questa la sfida non facile di Firenze 2015. È la strada tracciata da Francesco nella Evangelii Gaudium. «Una Chiesa – sono ancora parole di mons. Galantino – che sia accogliente, che sappia spendersi perché un orizzonte di senso e di vita appartenga a tanta più gente possibile». Ciò comporta la necessità di «impegnarci perché la Chiesa non sia autoreferenziale, ma sappia uscire per andare incontro agli uomini di oggi, che hanno bisogno di incontrare Gesù, in un mondo sempre più piatto e asfittico», dominato dall’«autismo culturale» e da «un individualismo che sta mostrando la corda e chiede di essere inserito in una prospettiva più umana».

Anche il lavoro di avvicinamento al Convegno è stato incanalato su questa strada. La «Traccia», riprendendo la Evangelii Gaudium, indicava «cinque vie» per un nuovo umanesimo, caratterizzate da altrettanti verbi: Uscire, Annunciare, Abitare, Educare e Trasfigurare. E le «cinque vie» saranno il fulcro di tutti i lavori del Convegno che, a parte la prolusione introduttiva del card. Bagnasco, l’incontro con Papa Francesco in Cattedrale e la sessione conclusiva di venerdì 13 novembre, si svolgeranno sempre a piccoli gruppi, con dei «tavoli» e dei moderatori. Non ci saranno perciò dotte relazioni o estenuanti tavole rotonde di esperti, ma un confronto aperto e familiare sulle esperienze di ciascun territorio. Anche gli incontri dei delegati con le diverse realtà ecclesiali e civili di Firenze saranno nel segno della concretezza. In trenta diversi «luoghi» della città si potrà toccare con mano quanto resta della semina di «testimoni» come Giorgio La Pira, don Lorenzo Milani, don Giulio Facibeni, il card. Elia Dalla Costa, don Divo Barsotti o padre Ernesto Balducci. Si potranno ammirare le grandi opere di carità cristiana, come l’Arciconfraternita della Misericordia o i Buonuomini di San Martino al pari di quelle civili, come l’Ospedale degli Innocenti, primo befotrofio d’Europa destinato ai bambini abbandonati, fino all’Ospedale Meyer, oggi all’avanguardia per le cure pediatriche.

Quello di nove anni fa a Verona fu un appuntamento importante e ben partecipato, ma che ha avuto poche ricadute sulla vita delle nostre comunità. Da Firenze 2015 potranno e dovranno scaturire, come ha ricordato Papa Francesco ai vescovi italiani il 18 maggio scorso, «proposte concrete e comprensibili» e non discorsi teoretico-dottrinali astratti, «quasi che i nostri orientamenti non siano destinati al nostro Popolo o al nostro Paese – ma soltanto ad alcuni studiosi e specialisti». Per questo ogni delegato, anche quello che arriva dal paese più sperduto, dalla periferia più lontana, può e deve portare il suo contributo di idee, di esperienza, di fede vissuta.

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