Dal Rapporto 2015-2016, stilato da Amnesty International, emergono dati allarmanti circa la violazione dei diritti umani nel mondo. Ma il particolare più preoccupante è l’attacco dei Governi alle istituzioni che si occupano di proteggere i diritti, riducendo le risorse a esse destinate o addirittura ignorandole
I numeri del Rapporto (pubblicato in Italia da Infinito edizioni) sono chiari: “60 milioni le persone che si trovano lontano dalle loro case, molte delle quali da diversi o molti anni; almeno 113 i Paesi nei quali la libertà d’espressione e di stampa sono state sottoposte a restrizioni arbitrarie; almeno 30 i Paesi che hanno rimandato illegalmente rifugiati verso Paesi in cui sarebbero stati in pericolo; almeno 19 i Paesi nei quali sono stati commessi crimini di guerra o altre violazioni delle ‘leggi di guerra’; almeno 36 i Paesi nei quali gruppi armati hanno commesso abusi”. Una lista lunga che denuncia anche la morte di “almeno 156 difensori dei diritti umani occorsa durante la prigionia o altrimenti uccisi, la detenzione di prigionieri di coscienza, ossia persone che avevano solamente esercitato i loro diritti e le loro libertà, la celebrazione di processi iniqui, maltrattamenti e torture”. E tutto questo “nel silenzio e nella generale indifferenza della comunità internazionale” come rimarcato da Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia. “Nessuno sdegno, anzi. In questo 2015 non abbiamo registrato passi in avanti nella difesa dei diritti umani ma solo un arretramento anche nei Paesi sui quali facevamo più affidamento”.
Assalto globale alle libertà. Il 2015 passerà alla storia come l’anno dell’assalto globale alle libertà, nel quale, afferma Salil Shetty, segretario di Amnesty international, “molti governi hanno sfacciatamente violato il diritto internazionale e stanno volutamente indebolendo le istituzioni che dovrebbero proteggere i diritti delle persone”.
La protezione internazionale dei diritti umani rischia, di “essere compromessa a causa di interessi egoistici nazionali di corto respiro e dell’adozione di misure draconiane di sicurezza, che hanno dato vita a un assalto complessivo ai diritti e alle libertà fondamentali”. In parte, spiega Amnesty International nel Rapporto, si tratta della “reazione di molti governi alle minacce alla sicurezza cresciute nel 2015.
La mal concepita reazione di molti governi alle minacce alla sicurezza nazionale si è tradotta in un attacco alla società civile, al diritto alla riservatezza e a quello alla libertà di parola. Per far questo, i governi hanno persino violato le loro stesse leggi”. Oltre 70 anni di lavoro e di progresso umano “sono a rischio” così come gli organismi sui diritti umani delle Nazioni Unite, il Tribunale penale internazionale e meccanismi regionali come il Consiglio d’Europa e il sistema interamericano dei diritti umani “minacciati da governi che cercano di sfuggire ai controlli sulla situazione interna dei loro Paesi”. Il conflitto della Siria è “uno degli orribili esempi delle catastrofiche conseguenze, per i diritti umani, del sistematico fallimento delle Nazioni Unite nel tener fede al loro ruolo vitale nel rafforzamento dei diritti umani e del diritto internazionale”. Per Amnesty International c’è il “disperato bisogno di rinvigorire le Nazioni Unite”. Un’ottima occasione potrebbe essere l’elezione del nuovo segretario generale (in carica da gennaio 2017).“Gli stati membri delle Nazioni Unite hanno quest’anno la storica opportunità di rinvigorire l’organizzazione, sostenendo un forte candidato al ruolo di segretario generale che abbia la volontà, la forza personale e la visione necessarie per respingere i tentativi degli Stati di minacciare i diritti umani a livello nazionale e internazionale”.
Alcuni esempi. Tanti gli esempi di queste “gravi violazioni” contenuti nel Rapporto: “Angola: uso delle leggi sulla diffamazione e sulla sicurezza per intimidire, arrestare e imprigionare persone che avevano espresso pacificamente le loro opinioni; Arabia Saudita: brutale repressione contro chi aveva osato chiedere riforme o criticare le autorità; crimini di guerra nella campagna di bombardamenti in Yemen; Burundi: sistematiche uccisioni e uso massiccio di altre tattiche violente da parte delle forze di sicurezza; Cina: aumento della repressione contro i difensori dei diritti umani; Egitto: migliaia di arresti, anche nei confronti di chi aveva espresso critiche in modo pacifico; prolungata detenzione di centinaia di persone, senza accusa né processo; centinaia di condanne a morte; Gambia: torture, sparizioni forzate, criminalizzazione delle persone Lgbti; Israele: mantenimento del blocco militare nei confronti di Gaza; mancato rispetto, così come da parte della Palestina, della richiesta delle Nazioni Unite di condurre serie indagini sui crimini di guerra commessi nel conflitto di Gaza del 2014; Messico: 27.000 sparizioni, massiccio uso della tortura, quasi completamente impunito; Regno Unito: continuo uso della sorveglianza di massa in nome della lotta al terrorismo; Russia: uso repressivo di leggi sulla sicurezza nazionale e contro l’estremismo dai contenuti vaghi; Siria: uccisione di migliaia di civili in attacchi mediante barili-bomba e altri armamenti; Slovacchia: diffusa discriminazione contro i rom; Stati Uniti d’America: centro di detenzione di Guantànamo, assenza di procedimenti giudiziari nei confronti degli autori di torture e sparizioni forzate; Ungheria: chiusura dei confini di fronte a migliaia di rifugiati in condizioni disperate; Venezuela: perdurante assenza di giustizia per gravi violazioni dei diritti umani e costanti attacchi contro i difensori dei diritti umani”.
Daniele Rocchi, Agensir