di Emilio Salvatore
Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati»(At 4, 11-12). Così Pietro negli Atti degli Apostoli sintetizza il mistero pasquale, un prodigio di ribaltamento del giudizio della storia degli uomini da parte di Dio. Tutto questo, riprendendo il Salmo pasquale di Israele (Sal 117).
Il mondo con le sue infinite suggestioni vuole farci credere che la storia è già stata scritta su tutto ciò che riguarda la natura umana, segnata dalle tante contraddizioni (cerca la pace e si arma; desidera l’amore e strumentalizza ogni cosa in chiave di piacere ed egoismo; vuole il benessere e l’armonia sociale e vive nello stress e nel conflitto; proclama la giustizia e vive nella illegalità). Il credente, il cristiano vero, sa che questo sembra essere il masso centrale, pesante, che sovrasta l’orizzonte come una montagna invalicabile, ma non dispera. Il prodigio pasquale per Israele, per la Chiesa, per tutti noi è che questa mole di potere e di sangue, di consumo e di durezza, viene sbancata, e al suo posto come segno una pietra ribaltata è posta: il Signore, quale punto di riferimento e segno di contraddizione di fronte al quale ogni uomo dovrà confrontarsi. La chance di Dio, che nessuno di noi ha meritato, trasforma anche il male, il peccato in una felix culpa in occasione di salvezza, ma ciò è possibile se entriamo nella logica dell’apertura al cambiamento, alla conversione, attraverso percorsi di riconciliazione. La misericordia del Padre, la vita donata del Figlio, la conversione del cuore, la comunione nell’unico Spirito, la fraternità ci stupiscono ogni giorno. Morendo e risorgendo, Gesù ha compiuto un atto unico, irripetibile, di riconciliazione. Tutto il male del mondo che si era «fissato» in Lui, con la resurrezione è stato risanato, perdonato da Dio. Un gigantesco arcobaleno dalla Tomba vuota di Gesù ha raggiunto il cielo, gioioso segno della riconciliazione tra l’uomo e l’intero creato con Dio.
La realtà nuova è questa, che non ci toglie la possibilità di peccare. Infatti, puntualmente ci caschiamo. Nella nostra aspirazione alla luce assomigliamo spesso alle mosche che sbattono contro un vetro: nel tentativo di migliorarci, ci ritroviamo regolarmente con la faccia per terra. Nel momento, però, in cui constatiamo la nostra radicale debolezza, abbiamo la possibilità di confessare la nostra fragilità, ricevere da Dio il perdono che rasserena e consente una nuova partenza. Questo si ottiene attraverso il sacramento della riconciliazione, un po’ in disuso, ma al quale dobbiamo ritornare come “sacramento pasquale”. La riconciliazione con Dio è passaggio inevitabile per poterci riconciliare con gli altri, perché ci offre la possibilità, sperimentando la misericordia, di entrare nella logica del ribaltamento. Per arrivare alla riconciliazione, che presuppone l’incontro tra parti diverse, occorre innanzitutto procedere sulla via del perdono. Il Papa ci sta offrendo le coordinate di questo cammino che egli vede come il vero pellegrinaggio giubilare: “Il Signore Gesù indica le tappe del pellegrinaggio attraverso cui è possibile raggiungere questa meta: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,37-38). Dice anzitutto di non giudicare e di non condannare. Se non si vuole incorrere nel giudizio di Dio, nessuno può diventare giudice del proprio fratello.
Gli uomini, infatti, con il loro giudizio si fermano alla superficie, mentre il Padre guarda nell’intimo. Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera. Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto. Ma questo non è ancora sufficiente per esprimere la misericordia. Gesù chiede anche di perdonare e di donare. Essere strumenti del perdono, perché noi per primi lo abbiamo ottenuto da Dio. Essere generosi nei confronti di tutti, sapendo che anche Dio elargisce la sua benevolenza su di noi con grande magnanimità”. (MV 14).
Abbiamo bisogno di riscoprire la forza sorgiva del perdono sperimentato ed offerto agli altri, come singoli, come famiglie, come gruppi, come chiesa, come società civile, come uomini nel creato.