Domani gli editori cattolici si confronteranno con Mons. Nunzio Galantino su La nuova visione del linguaggio di Papa Francesco
di Marco Bonatti
La vera forza del Salone consiste nel fiutare i “segni dei tempi”, individuando le aspirazioni o le stanchezze che sono nell’aria, gli entusiasmi o i fastidi. Il Salone dà un nome a queste realtà impalpabili e costruisce intorno a esse un tema, un gusto, diventando “tendenza”. È tanto più vero per il titolo del 2016 (edizione n° 29 – dal 12 al 16 maggio): le “Visioni”, e forse, più ancora, “i visionari”. Partendo dall’immagine di Mimmo Paladino, il Salone interpreta e dà voce a certe preoccupazioni reali e diffuse in Italia e in Occidente; a una diffidenza verso le istituzioni e la politica di mestiere, ormai incapace di trovare risposte adeguate alle complessità di società “mature”.
Diffidenze, ancora, verso i culti “pagani” del denaro e della tecnica, che hanno dominato gli ultimi due decenni, culti ai quali oggi stiamo diventando meno “fedeli” – o meno entusiasti, meno convinti. Per esempio: prima del 2008, o prima del 2001, ci sarebbe stato in cartellone un dibattito sul tema “Sabbie mobili. Esiste un banchiere perbene?”. Oggi invece lo si trova in programma per venerdì 13, con un banchiere e un ex ministro dell’Economia (Siniscalco). E le tecnologie, che oggi costituiscono – o sostituiscono? – il pane quotidiano, sono presenti in forze: ma il Salone ha chiamato dei “visionari” a parlarne: come Roberto Cingolani, direttore dell’Istituto italiano di tecnologia, o come Carlo Rovelli, scienziato – scrittore di successo (“7 brevi lezioni di fisica”), capace di raccontare lo sconvolgimento di fronte alla destrutturazione dell’universo cui ci obbliga il modello quantistico…
Personaggi lontani anni luce dalla tecnologia di consumo, dai telefonini-giocattolini per divertire le masse.
“Visione” è anche il rapporto con l’opera d’arte: ecco allora l’incontro con Philippe Daverio e le sue “prospettive” per guardare e conoscere un quadro; o ancora l’omaggio ai 50 anni di attività di un “creativo” come Oliviero Toscani, spesso provocatorio ma sempre attentissimo a offrire spunti per osservare la realtà da un angolo visuale meno consueto.
L’idea, insomma, è di uscire dall’angolo buio in cui siamo cacciati, appiattiti sul presente e senza speranze, con in tasca un sogno europeo ridotto a denaro di bottega e muri di paura. Le “visioni” servono a farci respirare, a indicare possibili futuri ai giovani e non solo a loro. Se è così, tra gli sponsor del Salone si potrebbe annoverare tranquillamente anche papa Francesco…
Anche gli ospiti sembrano rientrare nella stessa logica: una regione italiana, la Puglia, che è il ponte naturale verso il Levante e il Mediterraneo orientale, da dove non arrivano solo guerre e distruzioni; e un’area culturale, il mondo arabo, che oggi ha un gran bisogno di essere guardato da un altro punto di vista, che non sia soltanto quello del petrolio, delle primavere mancate, delle bombe vigliacche e dei giovani che si fanno esplodere.
A Ernesto Ferrero, direttore del Salone impiegato quest’anno come volontario (pensionato, non può percepire compensi secondo quanto stabilito dalla legge Madia) si deve, come sempre negli ultimi anni, la capacità di far maturare le idee, connettere i contesti e le persone, avendo come base una struttura competente ed entusiasta ma ridotta all’osso (Ogni anno l’esistenza del Salone sembra a rischio; ogni anno bisogna che intervengano istituzioni pubbliche e imprese private per alimentare le iniziative). Anche perché Torino non è Francoforte:
la Buchmesse, che si celebra dal 1949, è una “borsa” dell’editoria mondiale, riservata prima di tutto agli editori e agli agenti letterari ed editoriali e alle loro contrattazioni; il pubblico vi è ammesso solo il sabato e la domenica, e ha un ruolo di sfondo. Il Salone di Torino, invece, lungo gli anni, ha maturato una vocazione e una identità completamente diverse:
c’è sì uno spazio “aziendale” del libro, ma è solo uno degli elementi nel contesto più ampio di una “festa culturale” che è diventata via via più originale e che sperimenta, intorno al libro, forme nuove di collegamento e coinvolgimento, a cominciare dal mondo della scuola: laboratori di lettura e scrittura, incontri con gli autori, concorsi (come “Nati per leggere”, “Lingua madre” e non solo). Il Salone è da anni la meta per le gite scolastiche a contenuto educativo, con “offerte” che durano non solo nei giorni del Lingotto ma per l’intero anno.
Gli editori? Ci sono, anzi stanno tornando, aiutati forse anche da condizioni economiche più accettabili. Le previsioni parlano di un migliaio di espositori (cartacei, multimediali, agenzie letterarie, stand istituzionali) che, oltre alla presenza, offrono contributi importanti per l’organizzazione degli incontri con gli autori, gli “eventi”, le idee nuove (perché il Salone continua ad essere un laboratorio importante, forse l’unico in Italia, per i professionisti del settore).
Se la presenza dei “grandi” è scontata, il successo del Salone si misurerà forse soprattutto dai risultati dei “piccoli”, che non solo investono in proprio ma rappresentano la migliore garanzia di libertà che ci sia perché sono segno di pluralismo e di iniziativa capace di andare oltre le mode e il marketing.
Ed è discorso che vale, anche – soprattutto – per l’editoria d’ispirazione cattolica, tanto per le iniziative librarie come per quelle giornalistiche. Il principale appuntamento di quest’anno, in questo settore, è l’incontro con monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, in programma venerdì 13, alle 19, in Sala Rossa, promosso da Associazione Sant’Anselmo e Avvenire. Il tema del confronto è assolutamente allineato col titolo del Salone: “La nuova visione del linguaggio di papa Francesco”.
Agensir