di Grazia Biasi
Nulla avviene per caso. Eventi e racconti si danno appuntamento e si rivelano al momento giusto, quando alla riflessione sembrano mancare le speranze, quando al presente sembra che manchi una spinta in più. “Di una speranza perseverante”, così conviene essere.
Mentre chiudevamo le pagine dell’ultimo numero di Clarus mensile, il cui primo piano è stato dedicato al mondo del lavoro, sono giunte alla nostra redazione positive sollecitazioni, belle esperienze, storie che quasi ribaltano la pesante delusione che ci prende se guardiamo al binomio uomo-lavoro in Alto Casertano. Le statistiche nazionali parlano di lenti segni di ripresa rispetto ad alcuni anni fa; ma perché l’aria buona che tira si distribuisca fin nei remoti angoli del bel Paese dovremo attendere ancora un po’, e siccome di questi remoti angoli siamo noi matesini gli abitanti, converrà attendere ancora con pazienza, ma non con le mani in mano.
Intanto, a ricordarci che siamo ancora in tempo di crisi, e che è presto per cantare vittoria, ci hanno pensato i barili di petrolio, il cui prezzo è nuovamente tornato su.
E ancora a ricordarcelo sono state le buste arancioni inviate in giro per l’Italia a riferire che il tempo della pensione è lontano; oppure il ritorno di quegli incidenti sul lavoro che toccano non giovanissimi operai, ma uomini appesantiti dall’età e non più adatti per quel tipo di mansioni affidate loro (perché non ancora pensionabili).
Se la scena del lavoro si riapre per una fetta di gioventù fino a 35 anni (come vogliono alcune selezioni, concorsi ed esami) che ne sarà dei quarantenni – anche padri di famiglia – protagonisti in pieno del momento economico peggiore d’Italia degli ultimi 60 anni?
“Non starsene con le mani in mano”, così sollecita il vescovo Valentino Di Cerbo nell’intervista che ci ha rilasciato. Noi questo motto lo abbiamo accolto e vissuto: che sia un passaparola, una catena di speranza, un’eco da una collina all’altra del nostro verde territorio.
Ognuno, a modo suo, può farle muovere quelle mani e provare a dare la marcia in più, la spinta forte.
Così ha fatto un professore dell’Istituto Industriale di Piedimonte Matese che ha scelto di spingere raccontando (pubblicata di recente sulla nostra testata on line) che in quella Scuola si diplomano grandi alunni! Francesco Iasimone fa parte da qualche mese del team Ducati, selezionato per le sue competenze e capacità; Pierluigi Reveglia, diplomato con lode nello stesso Istituto si è guadagnato una borsa di studio all’estero e poi un dottorato di ricerca alla facoltà di Chimica della Federico II di Napoli.
Questo perché hanno deciso di non starsene con le mani in mano, ma di guardare qualche metro più in là. E di chi resta non si può dire diversamente.
Un messaggio su WhatsApp per dirci che Vincenzo Coppola è il nuovo fiduciario della Condotta Slow Food Volturno: notizia che ci apre ad un bellissimo racconto di rivincita, lavoro, progresso e futuro che parte dalla campagne del caiatino. Lui è un agronomo, appena 34enne, consulente per viticoltori e olivicoltori, ma offre da tempo la sua professionalità al mondo dell’agricoltura locale nella riscoperta e nel recupero di antiche colture in grado di rilanciare l’economia locale. Non solo ha rimesso in circolo la produzione di pomodoro riccio (tra i migliori ortaggi in Italia), ma ha osato recuperare il grano del ventennio fascista e ricavarne pregiate farine adatte persino agli intolleranti di certi cibi.
Vincenzo vive a Ruviano, con la sua famiglia di tradizione contadina. E da questo mondo ha imparato la speranza perseverante, quella che si accompagna ad un sorriso ogni giorno e alla necessità di condividere lavoro e risultati con altre persone, con quanti imbracciano ancora la zappa (insieme ad un pc) e corrono ai campi.
La semina dell’antico grano Autonomia (così chiamato quello del fascismo) adesso non è più sua, ma di altre famiglie che hanno predisposto 10 ettari di terreno, tanto da ribattezzarlo Grano Nostrum, «perché ciò che è buono e ci dà vita, appartiene ormai a tutti». Si concretizza così la dimensione sociale del lavoro dove l’esperienza di ciascuno è destinata ad intrecciarsi con quella di altri: «Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno» (Giovanni Paolo II, Centesimusannus 31).
Caratteristiche comuni a queste brevi esperienze? La condivisione, la prova, l’entusiasmo di raccontare, la gioia di mettere in comune il sapere, la conoscenza, la paura di provare e il coraggio di rischiare.
Azioni che confermano gli uomini nel processo di creazione dell’Universo, perché creature a immagine e somiglianza di Dio, che lui stesso colloca come fiduciari, operai, custodi del mondo. È lui a chiedere di non starsene con le mani in mano ma continuare la semina di speranza che sola rende l’uomo vivo autore del presente.