A cura di don Andrea De Vico
Anno C – Corpus Domini (Lc 9, 11-17)
“Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi. Fate questo in memoria di me»” (1Cor 11, 23-24)
La “memoria” è tra le funzioni più misteriose dello spirito umano. Le cose viste, udite, pensate, vengono “immagazzinate”, “archiviate”, per così dire, in questo luogo immenso, pronte a ridestarsi e a balzare alla luce dopo un richiamo esterno o una sollecitazione della volontà. L’atto più significativo della memoria consiste nel “ricordare”. Un singolo ricordo ha il potere di catalizzare il nostro mondo interiore e di convogliarne l’attenzione verso il suo oggetto: ri-cordare una persona o un’esperienza significa andarla a pescare nel fondo del cuore (“cor”) e ri-portarla alla superficie cosciente. La parola “memoria” viene da “mens” “mente”, che poi troviamo significativamente imparentata con la parola “anima”. L’etimologia della parola è ricchissima!
Oggi, ingenuamente, siamo portati a pensare che la memoria funziona come un computer (nel seicento si diceva: come un orologio; nell’ottocento: come un congegno elettromagnetico). In realtà, più andiamo avanti nella sofisticazione di simili marchingegni, più aumenta la loro distanza dal mondo umano. Il computer, più perfetto è, meno assomiglia alla mente umana. La memoria è un fenomeno vivente, spontaneo, radicalmente diverso dai “meccanismi pesanti” (hardware). Inoltre la memoria viene “colorata” da una ricchissima gamma di sfumature emotive, sentimenti di gioia o di tristezza, secondo la natura dei ricordi e delle esperienze fatte determinato dalla “conoscenza e dalla volontà” (software). La banalità di una equazione tra la memoria e il computer può esistere solo nei romanzi e nei films di fantascienza (e nei peccati della superstizione scientifica).
Non solo l’individuo, ma anche un gruppo umano, una famiglia, un clan, una nazione, ha la sua memoria. La ricchezza di un popolo non si misura dalle riserve auree o dai soldi depositati in banca, ma dalle memorie sedimentate nella coscienza collettiva. Ovunque troviamo monumenti che ricordano uomini illustri, o eventi cruciali di una nazione (“Memorial day”). Nell’Antico Testamento, il giorno memoriale da ricordare di generazione in generazione era il passaggio del mare e la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, fatto che doveva ricordare a Israele la sua esistenza come popolo. Nel Nuovo Testamento, il memoriale è dato dalla Pasqua del Signore Gesù.
La nostra Eucarestia si distingue nettamente, essenzialmente, da tutti gli altri memoriali. I grandi personaggi di cui si celebrano le memorie, nel migliore dei casi, esistono come mummie, ma Cristo è vivo ed è presente! Il memoriale eucaristico richiama la sua presenza, è “memoria” ed è presenza insieme. Non solo affettiva, come davanti alla foto-ricordo di una persona cara, ma presenza reale, come di fronte a persona viva! Inoltre l’Eucarestia non si limita a guardare indietro, ma ci proietta in avanti: “annunciamo la tua morte, Signore; proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Non per nulla essa in antico era detta: “Cibus viatorum” “Pane dei pellegrini”. Un mistico bizantino, Nicola Cabàsilas, afferma che l’Eucarestia è pane necessario per sostenere il pellegrinaggio terreno, il cui scopo è l’ingresso nel Regno celeste:
“Questo pane, questo corpo che, prendendo dalla sacra mensa, avranno portato con sé [come viatico], uscendo [da questo mondo], è quello stesso [corpo] che apparirà agli occhi di tutti … [come] rivela il beato Giovanni, quando dice: lo vedremo come egli è” (1)
(1) De vita in Christo 4, 102.107