A cura di don Andrea De Vico
Anno C – X Domenica x Annum (Lc 7, 11-17)
«Accostatosi, Gesù toccò la bara. Poi disse: ‘Giovinetto, dico a te, alzati!’»
Partendo da Cafarnao, dopo una giornata di cammino, Gesù col suo seguito giunge a Nain. Alle porte della città, un corteo funebre che sta uscendo, c’è molta gente, è morto un giovanetto. Di qui un corteo che arriva, guidato da Gesù, di lì un corteo di gente a lutto che esce. Un corteo che accompagna la morte, e un corteo che accompagna Gesù, che sta per rivelarsi “Signore” della vita.
C’è una donna ferita dal dolore di un doppio lutto, la sua casa era già stata visitata dalla morte: prima il marito, poi il figlio. È una poveretta, sola, senza diritti e senza identità. All’epoca le vedove non avevano nessuna protezione giuridica. La tutela era assicurata dal padre, o dai fratelli, o dal marito. In questo caso, il figlio avrebbe dovuto prendersi cura di sua madre. Ed è sola!
Questa donna non ha parole, ma solo lacrime da versare. Gesù ha compassione di lei, un sentimento profondo, viscerale. Lei non chiede niente, è lui che prende l’iniziativa. Non sappiamo nulla di lei, non conosciamo il suo passato, Gesù agisce in modo assolutamente gratuito, e lo fa con una parola che suona come un ordine. Nessuna preghiera, nessun gesto, come nel caso precedente di Elia e la vedova di Zarepta. Le analogie e le differenza tra i due racconti sono evidenti. Elia dovette pregare con insistenza, per riavere il giovinetto vivo, mentre a Gesù è bastato solo un comando; la vedova di Zarepta veniva ricompensata per la sua ospitalità, mentre la vedova di Nain ricevette la vita di suo figlio in modo gratuito, quasi a mostrare l’agire divino, che va oltre il nostro merito.
Gesù ordina al giovinetto: “alzati!” Questa è la parola più insensata che si possa dire a un morto. Eppure il morto si mette a sedere sulla sua bara, incomincia a parlare, comunicare. Parla con la madre: ogni mamma genera per la vita, non per la morte. Così la parola del Signore: è creatrice, e Luca per la prima volta chiama Gesù con il titolo di “Signore”. Con la vittoria sulla morte egli è veramente il “Signore”.
Morire a quindici, vent’anni! Perché? Non è giusto! Dov’è Dio? E’ buono? Perché questa grazia, a chi si e a chi no? Si arriva a pensare che lui sia all’origine del male, e gli presentiamo la fattura delle nostre sventure. Zarepta, Cafarnao, Nain, Betania: tutti luoghi che hanno visto un morto rimettersi in piedi. Noi liquidiamo la cosa in modo semplicistico: sono stati dei casi di “morte apparente”.
In realtà, più che cercare spiegazioni di questo tipo, dovremmo preoccuparci della “vita apparente” che meniamo sotto il marchio del peccato. C’è gente fisicamente viva, in ottima salute, che si dedica bellamente ai traffici e ai commerci carnali, e non si accorge di avere il cuore in una tomba, di essere morta prima ancora di morire! La vera tragedia non è la morte apparente, ma la vita apparente, malviventi che non siamo altro!
Nel Battesimo, come nel sacramento della Riconciliazione, anche a noi viene dato un ordine: “svegliati” “alzati” “risorgi”. Al peccatore viene data la possibilità di rimettersi in piedi! L’agire divino è sempre più grande del nostro merito: se uno crede, rivive!