A cura di don Andrea De Vico
Anno C – XIV per Annum (Lc 10, 1-9)
“Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai. Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!»”
Ci sono comunità in affanno per mancanza di sacerdoti. Delle persone, vedendo un evento religioso trasmesso in televisione, si lasciano impressionare dalla gran quantità di concelebranti: “… e poi dicono che non ci sono preti: uno di quelli non ce lo potrebbero mandare da noi?” C’è da mettere la mano sul fuoco che le persone che si esprimono in questo modo non hanno mai pregato il Signore per avere un santo sacerdote che insegni, governi e santifichi la propria comunità. Tutt’al più saranno andati dal Vescovo a chiedere un bravo funzionario per i loro bisogni religiosi, per le loro messe da morto, i loro matrimoni e i loro funerali.
Il punto è questo: nella Chiesa c’è troppa zavorra, troppe usanze che non significano più nulla, troppi edifici da mantenere, troppe statue da spolverare, troppe robe da organizzare, e abbiamo dimenticato che essa non si regge sui mezzi umani. Gesù dice: “Pregate il Signore della messe”, e noi ci sbrachiamo davanti al politico di turno o al prepotente del posto per avere un qualche privilegio che finisce per legare per sempre il nostro deferente ossequio. Gesù dice: “Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”, e noi ci mettiamo sulla cima della nostra presunzione col fucile spianato, per vedere chi è autorizzato ad entrare oppure no. Gesù dice: “Non portate borsa, né sacca, né sandali”, e noi ci mettiamo a fare gli imprenditori, i contabili, i raccoglitori di offerte. Gesù, riferendosi agli interminabili riti orientali relativi al saluto, dice: “Non salutate nessuno lungo la strada”, e noi sprechiamo il tempo in conversazioni inutili per cose che non meritano alcuna attenzione. In un contesto simile è chiaro che la chiamata di Dio non trova dei giovani pronti ad ascoltarla, e cade nel vuoto. Il problema non è la mancanza di preti: è la mancanza di fede!
Oltre alla preghiera, Gesù ci indica una seconda strategia: “l’apostolato”. In un primo momento ne aveva inviato solo Dodici, e ora ne manda settantadue, presi della cerchia più vasta dei suoi discepoli. Perché settantadue? E’ presto detto: nella tradizione giudaica si pensava che le nazioni del mondo fossero settantadue, per cui è facile cogliere l’intenzione di Gesù: “la missione” o “apostolato” è un impegno che riguarda tutti i suoi seguaci, ed è rivolto a tutti i popoli. Non sono i popoli che devono andare dai discepoli, ma sono i discepoli che devono andare dai popoli!
A questo punto, invece di lamentarci dei preti che scarseggiano o delle Chiese che si svuotano, cerchiamo di essere noi i primi ad andare incontro agli altri, suscitando il loro interesse, la loro curiosità, porgendo loro un invito che riguardi la vita di comunità, se questa c’è, e ferve. Non sono gli altri che devono venire da noi, ma siamo noi che dobbiamo andare dagli altri. Il vero fedele di Cristo non si limita a rilevare il bisogno o a denunziare il problema, ma per prima cosa si mette in ginocchio e prega, e poi si rimette in gioco, impegnandosi in prima persona.
Chiediamoli al Signore questi sacerdoti, non al Vescovo. Chiediamoli “missionari” per il Regno, e non “funzionari” per il comodo delle nostre celebrazioni tradizionali, altrimenti questo popolo rischia davvero di vedersi arrivare un miserevole “raccoglitore di offerte”. Tra l’altro una Chiesa orante, che nella preghiera matura la coscienza della sua missione, rapportandosi con le pubbliche istituzioni, di riflesso accresce anche l’importanza del suo interlocutore, nel trattare le iniziative e i doveri nei confronti della collettività.