A cura di don Andrea De Vico
Anno C – XV per Annum (Lc 10, 25-37)
«Maestro, cosa devo fare per ereditare la vita eterna? … E chi è il mio prossimo?»
Un uomo di legge pone una domanda a Gesù metterlo alla prova, con l’intenzione di coglierlo in fallo e denunciarlo al sinedrio. La domanda è religiosa, ma nasconde un trabocchetto politico. Il personaggio manifesta un apparente interesse per una questione capitale: “cosa fare per avere la vita eterna?”. E’ il problema di tutti e di sempre, si tratta di sapere se ci salveremo o se ci perderemo, se finiremo bene o malamente. Gesù raccoglie la sfida in modo che sia il dottore stesso a trovare la risposta che cercava. E’ un avvocato, un professionista del diritto, se non lo sa lui! Risponda lui stesso alla sua interessantissima domanda. Cosa c’è scritto nella Legge? Lo sanno anche i bambini: “ama Dio con tutto te stesso, e il prossimo tuo come te stesso”.
L’avvocato ha fatto il grossolano errore di introdurre un dibattimento a partire dall’essenza stessa della Legge, una cosa nota e risaputa. Per rimediare alla figuraccia e deviare l’attenzione, il dottore pone una seconda domanda sulle persone che potrebbero essere considerate “prossime”: “e chi è il mio prossimo?” La risposta giunge sotto forma di parabola: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…” La strada presenta un dislivello di circa mille metri, come tra Miralago e Piedimonte. La città santa si trova ad un’altitudine di 750 metri, mentre la piana di Gerico è a 250 metri sotto il livello del mare, nella depressione del mar Morto. La strada è impervia e pericolosa. Nel dramma ci sono sei attori.
Primo: un uomo che scendeva verso la piana. Non sappiamo chi fosse, potrebbe essere chiunque, un ricco o un povero, un ebreo o un mercenario, uno dei nostri o un extracomunitario, un uomo onesto o persino un brigante assalito da altri briganti, come succede nelle rivalità tra mafiosi. Si tratta di un poveraccio qualunque che viene spogliato, bastonato e lasciato a terra mezzo morto.
Secondo: una combriccola di delinquenti, una piccola società di ladri. Non sono mai pochi, briganti e ladroni. Ogni cultura e civiltà possiede le sue associazioni a delinquere.
Terzo: un sacerdote che passa “per caso”. Qui Gesù sembra che faccia dell’ironia. Nell’economia del racconto, se c’è qualcuno deve passare in quel momento deve essere proprio un prete. La sua dignità sacerdotale non gli permette il contatto col sangue o coi cadaveri. Perciò, quando vede questo poveraccio steso a terra, si discosta non certo per cinismo, ma per dei motivi di purità rituale, perché altrimenti non potrebbe svolgere il suo turno di servizio al Tempio. I riti di purificazione sono lunghi e fastidiosi, c’è tanta gente che passa, ci penseranno gli altri. Si direbbe che per Gesù una religione che non si occupi dell’uomo non è neanche una religione. Questo prete della parabola è un adeguato rappresentante di una “religione inutile”, fallita.
Quarto: un levita che “giunge in quel luogo”, anche lui lo vede e passa oltre. Il levita è un servitore del Tempio, ha il compito di curare i pellegrini, una sorta di supersacrestano con ampi poteri amministrativi, un uomo d’ordine, uno che è deputato ai nobili servigi dello stato. Ha fretta anche lui, chissà quali incombenze lo aspettano, tutte cose più importanti della vita di un uomo! Questo caso non rientra nelle sue competenze. Il levita rappresenta tutti quelli che, per ragioni o per segreti di stato, o chissà quali complicazioni diplomatiche, fanno finta di non sapere. Sanno benissimo, ma passano oltre, rappresentanti anch’essi di una “politica inutile!” E difatti la risposta giusta non viene dal prete-burattino di una religione vana, né dal politico-pupazzo di un ordine che non funziona, ma da un samaritano, un estraneo!
Quinto, ecco il punto: questo strano samaritano. Gli abitanti della Samaria erano considerati una razza bastarda, eretica, il loro culto contaminato. Per un giudeo, ricevere il bene da un samaritano era quanto di più improbabile si potesse immaginare. I giudei non pensavano neppure che un samaritano potesse provare sentimenti di pietà e solidarietà. Eppure l’unico che si dà da fare è proprio lui: “lo vide, si mosse, si curvò, gli fasciò, gli versò, lo caricò, lo portò, si prese cura, pagò, ritornò per pagare”. Lo caricò sul “suo” giumento, lo prende con le “sue” braccia, lo porta alla “sua” locanda, dove è solito albergare egli stesso.
Nella parabola è detto che il prete passa “per caso”, mentre il levita è “giunto in quel luogo”. Solo del samaritano viene lasciato intendere che era in viaggio con un preciso programma, forse un’operazione commerciale. Dei tre, il più indaffarato è proprio lui! Eppure interrompe il suo viaggio, mette da parte le sue cose e si occupa del malcapitato. Difatti si congeda dall’oste in tutta fretta dicendogli: ci rivediamo al mio ritorno. Anche oggi, le persone che hanno poco o niente da fare sono anche le meno disposte ad aiutare gli altri, e fanno pure finta di essere occupatissime!
Sesto: un oste che serve dietro lauto compenso. Due denari erano tanti. Chi è questo locandiere? E quanto costa questa carità? Si vede che i due hanno discusso tra di loro. Forse l’oste non voleva noie, o semplicemente voleva di più. Ma il samaritano non si fa vincere neanche in questo: pur di non lasciare il poveraccio in mezzo alla strada, impegna il suo denaro ben oltre la misura necessaria. Che figura meschina, quest’oste che incassa sulla sciagura altrui!
Facciamo un’ipotetica verifica sugli istituti di assistenza di qualsiasi tipo. La distribuzione degli incassi potrebbe risultare così: circa l’80% va all’istituto o all’ente che si impegna all’assistenza (hanno le strutture da mantenere!), mentre solo il 20% arriva ai poveri, o ai malati o ai bisognosi assistiti. Che tristezza queste istituzioni religiose o non governative … queste congregazioni sorte per i poveri e gli emarginati, e poi… che Dio ci perdoni tutti. Quanti osti, quante colonie marine o montane, quanti istituti di beneficenza riconvertiti in confortevoli “luoghi di spiritualità!” Senza parlare delle speculazioni sulle diverse disabilità: c’è tutto un commercio!
Alla fine le posizioni si rovesciano. Gesù da esaminato passa a esaminatore, e pone la domanda finale che decide il tutto: chi è stato il prossimo di quell’uomo incappato nei briganti? Il prete, il levita, o quel bastardo di un samaritano? Così anche tu: invece di metterti a cavillare chi devi considerare prossimo e chi no, chi ti è amico e chi no, fa’ come ha fatto il samaritano, fatti “tu” prossimo a chi ne ha bisogno! Se non lo farai, la vita eterna te la puoi scordare, e tu sarai perduto.
Il dottore, il sacerdote e il levita rappresentano la legge, la religione e l’etica laica. La vera figura umanistica risulta essere quella che tutti meno si aspettavano: un uomo che offre il suo aiuto a un altro uomo che è tutto una crosta di sangue! Se tu vuoi verificare il tuo rapporto con Dio, misura la pietà che hai verso l’uomo. “Fa questo e vivrai!” Solo questo!