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I banchetti e le feste che contano davvero. Nel Vangelo di domani la difficile richiesta di Gesù

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A cura di Don Andrea De Vico
Anno C – XXII per Annum (Lc 14,1.7-14)

“Quando sei invitato a nozze, non metterti al primo posto … Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi … Riceverai la tua ricompensa alla resurrezione dei giusti!”

In questo passo Gesù condanna la smania di quelli che, presumendo di mostrare la loro importanza, fanno ressa per occupare il posto più alto. Per esistere hanno bisogno di visibilità, di riconoscimenti, di cariche, di ruoli, come se la loro vocazione di uomini non bastasse! Il mondo dei media, ad esempio, è pieno di gente che per vivere ha un bisogno matto di essere veduta!

L’invito a mettersi all’ultimo posto, da parte di Gesù, non si pone allo stesso livello di una regola di una buona creanza. Infatti può anche darsi che l’amor proprio si manifesti nella finta umiltà di chi si mette in fondo alla stanza con la segreta speranza di essere notato e promosso al grado più alto. Nelle gerarchie ecclesiastiche ci sono dei personaggi che non perdono mai occasione per farsi un giro alla piscina probatica, sperando che passi l’angelo e dica: amen!

C’è un capitolo di psicologia che descrive questa dinamica con la metafora del “Piccolo Professore”. Si tratta di una funzione della personalità in sé positiva, creativa, che sta alla base delle grandi conquiste del genio. Ma senza la direzione della parte Adulta, il Piccolo Professore che è in noi elabora delle fantasie iper-realistiche che alla lunga ci fanno perdere il senso della realtà. Un dilettante, ad esempio, può immaginare l’inaugurazione della sua prima mostra di pittura anticipando l’eccitazione di un vasto pubblico senza avere una prova sostanziale del suo talento.

Allo stesso modo i cori parrocchiali, quando sono lasciati in mano a sé stessi, senza una direzione, tendono a favorire l’emergenza del Piccolo Professore. Nel momento in cui si scopre una ragazzina dalla bellissima voce naturale, o che alla tastiera riesce a mettere tre accordi uno appresso all’altro, le piovono addosso tanti di quei complimenti che in capo a qualche decennio la poverina, per colpa del suo Piccolo Professore interno, o diventa un’illusa, o diventa una capra che oggi nessuno più ascolterebbe volentieri. Il suo Piccolo Professore le ha fatto saltare tutti i passaggi, l’ha proiettata direttamente sul “jet set” internazionale senza farle fare gli studi appropriati.

Sempre nei gruppi parrocchiali, in assenza di una guida carismatica o istituzionale, può succedere che un gregario qualsiasi, per circostanze fortuite, mosso dal suo Piccolo Professore, assuma delle iniziative o si prenda delle responsabilità senza che nessuno gli abbia chiesto niente. Se non viene bloccato in tempo, l’invadenza del Piccolo Professore prende il sopravvento e si impadronisce della comunità. Ci sono dei capigruppo che combinano dei pasticci enormi senza neanche accorgersi delle conseguenze, fanno tanta di quella confusione che alla fine la gente si stanca e molti se ne vanno disgustati. I gruppi parrocchiali, insieme a tante cose lodevoli e belle, producono delle dosi massicce di astio e di risentimento.

Allo stesso modo, un prete che nelle sue fantasie ha nutrito la falsa speranza di diventare vescovo, nel momento in cui realizza di non essere stato chiamato a cotanta grazia, porterà il grugno per tutto il resto che campa. Il Piccolo Professore lo ha fregato, o forse qualcun altro lo avrà preceduto all’appuntamento della piscina probatica.

Chiaro che il Piccolo Professore deve essere ridimensionato, invitando la Persona reale – che sono io – a rientrare nei ranghi e a esprimere l’Adulto limitandosi a fare ciò che le viene chiesto di fare, conseguendo degli obiettivi più modesti, ma più soddisfacenti e realistici.

Le parole di Gesù che ci invitano a scegliere l’ultimo posto vanno dunque ben al di là di una regola di buona educazione, esprimono qualcosa che va ben oltre il funzionamento equilibrato di una sana personalità. Si tratta di un atteggiamento di fondo, di una “regola per il Regno.

Ecco il punto. La “vecchia giustizia” è basata sulla parità tra dare e avere: io do una cosa a te, e tu dai una cosa a me. Io faccio un regalo a te, e tu fai un regalo a me. Tu vieni a pranzo da me, poi io vengo a pranzo da te. Tu mi dai l’appoggio di un voto politico, io poi ti ricambio il favore. Tu mi dai la promozione, e io me ne ricorderò al momento opportuno. Io vengo al funerale dei tuoi parenti, e tu vieni al funerale dei miei. Una concezione chiusa della vita. Tutta roba vecchia, come la giustizia dei farisei, che tengono la conta delle cose che fanno.

Gesù ha detto che se non superiamo questo tipo di giustizia non entreremo mai. Perché trattare soltanto con le persone di riguardo, dalle quali speriamo di ricevere un contraccambio, un favore, un riconoscimento, un avanzamento di carriera? Egli ci chiede di praticare una “nuova giustizia”, quella del Regno di Dio, che misura la grandezza di sé con il metro della stima data agli altri.

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