Home Chiesa e Diocesi Don Peppino Leone è tornato alla Casa del Padre

Don Peppino Leone è tornato alla Casa del Padre

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Allestita la camera ardente nella Cappella del Seminario. Domani alle 16.00 i funerali nella chiesa di Santa Lucia a Piedimonte Matese

La Redazione – Si è spento questa mattina nel suo appartamento, presso il palazzo vescovile di Piedimonte Matese all’età di 93 anni Mons. Giuseppe Leone, il più anziano sacerdote della Diocesi di Alife-Caiazzo. Da qualche anno la malattia lo aveva costretto a letto, ma di lui il ricordo è molto nitido nei cittadini di Piedimonte Matese e Alife dove celebrava messe e puntualmente confessava.
Nato il 24 dicembre 1923 a San Donato Val di Comino (Fr), si era trasferito da bambino con la famiglia sul Matese, dove il padre era operaio dell’Enel presso la Centrale elettrica sul lago. I primi anni di scuola a San Gregorio Matese, poi il ginnasio presso il Seminario vescovile.
Sono questi gli anni in cui matura la scelta di proseguire gli studi teologici e diventare sacerdote.
È stato insegnante di lingua e letteratura francese presso il Ginnasio vescovile, poi insegnante alle scuole elementari e medie statali.
Da giovane prete è stato viceparroco in Ave Gratia Plena a Piedimonte Matese; successivamente ha prestato il suo ministero sacerdotale come canonico penitenziere della Cattedrale; poi per lunghi anni è stato rettore di Santa Caterina ad Alife e di Santa Lucia a Piedimonte.
La sua lunga vita e la sua memoria hanno custodito numerosi ricordi, fatti, aneddoti della vita della Diocesi di Alife, degli anni difficili della Seconda Guerra mondiale e della ricostruzione, delle intere generazioni di studenti che hanno abitato e studiato presso l’antico Seminario vescovile.
La comunione agli anziani, la visita agli ammalati, le devozione forte per San Michele Arcangelo, un pensiero sempre proteso per i sacerdoti e i religiosi in terra di missione: questo è il ricordo di molte persone che con affetto vorranno rendergli l’ultimo saluto.
La camera ardente è stata allestita presso la Cappella del Seminario (Palazzo vescovile, via A. Scorciarini Coppola, Piedimonte Matese) dove il feretro sosterà fino a domani 2 settembre alle 15.30. Successivamente il corteo funebre raggiungerà la Chiesa di Santa Lucia, dove alle 16.00, il vescovo Mons. Valentino Di Cerbo celebrerà i funerali. 

Dai ricordi di don Peppino…

A febbraio 2011, sulle pagine del nostro mensile (Clarus n.2 – Febbraio 2011) usciva l’articolo Luigi Noviello, il vescovo dei poveri nella rubrica Testimone di carità.
In quella occasione fu necessaria ed indispensabile la testimonianza di don Peppino Leone; dapprima schivo e dubbioso, si convinse – non a fatica – a raccontare gli anni del Vescovo Noviello (1930 -1947) essendo stato testimone oculare di fatti e avvenimenti della storia diocesana di quegli anni.
La sua “concessione” ebbe un prezzo, uno strano prezzo! Don Peppino non voleva essere citato; per nessun motivo il suo nome sarebbe dovuto “apparire”. Gli interessava che si parlasse di quel buon Vescovo, e che su quelle poche righe non vi fosse alcun accostamento tra il nome di Noviello ed il suo: “sarebbe apparso improprio” disse…
Il racconto di quella lunga ora di conversazione divenne l’articolo che vi riproponiamo in occasione della sua morte: un piccolo segno di riconoscimento per dirgli grazie a averci permesso e raccontare il Vescovo dei poveri.

Non si fa in tempo a pronunciarne il nome. Il racconto, dalla voce ruvida o tremante di chi allora era poco più che ragazzino, si scioglie facendosi sempre più dolce e affettuoso. Lo sguardo si fissa, concentrato, frugando tra le immagini un po’ sbiadite dal tempo, la voce trova lentamente fermezza, così come i ricordi, appigliandosi ad un’espressione immediata e spontanea: “Era un uomo umile e semplice, buono”.
Parlano di Mons. Luigi Novello, vescovo della Diocesi di Alife dal 1930 al 1947.
Veniva da Napoli, dalla parrocchia di Santa Maria del Soccorso a Capodimonte, ben più grande della Diocesi che dopo gli fu affidata. “Ero vescovo e mi hanno fatto parroco” amava ripetere scherzosamente di fronte alle poche anime del suo nuovo gregge. Uno spirito sereno e lieto, che di quelle anime seppe intercettare il profondo bisogno di umanità.
Le sue giornate erano scandite dalla preghiera e dalla lettura, accompagnata da mirabili, quanto spontanei gesti di carità: la visita all’ospedale di Via Scorciarini Coppola, la sosta presso numerose abitazioni, l’incontro quotidiano con i seminaristi, a quei tempi numerosi, e poi le lunghe passeggiate che da via Elci lo portavano all’incrocio con via Matese e poi giù verso la campagna che conduceva ad Alife. Chi parla di lui sono gli anziani sacerdoti della Diocesi, depositari non solo di un grande ricordo, ma di un esempio di carità costante e tenera, una carità tenace, mai smessa.

Mons. Noviello in un ritratto (da fotografia) del prof. G. De Biasi (1997)
Mons. Noviello in un ritratto (da fotografia) del prof. G. De Biasi (1997)

Frequentemente, nelle passeggiate verso la campagna, nell’ora in cui i contadini, deposti gli arnesi, facevano ritorno alle loro case, o salendo verso via Annunziata, dove sugli usci delle case sedevano i tanti figli dei carbonai di turno sulle montagne, lui, il curato Noviello, non escludeva nessuno dal suo abbraccio paterno, dispensando carezze e caramelle: “Sono anche loro figli di Dio” pronunciava sottovoce, ammonendo qualcuno dei suoi accompagnatori che preferiva tenere lontano l’odore forte e fastidioso che sapeva di fatica o povertà.
Tra i poveri. Senza mai sottrarsi al contatto con la gente, percorrendo le strade della sua nuova terra.“
Lì…lì, vicino al monastero delle Suore Benedettine, lui entrava da Espedito, il barbiere, e poi alla falegnameria di Francomacaro… Salutava, si fermava con tutti, chiedeva come stessero i bambini”. Un po’ alla volta gli anziani ricordi prendono colore, diventano immagini concrete davanti agli occhi appannati, ora non solo dal tempo, ma anche dall’emozione. “Scendeva con noi seminaristi nella chiesa di Ave Gratia Plena e messosi in un angolo pregava, e pregava. La sua devozione per la Madonna ci era esemplare”. Lui stesso eresse a Santuario, il 14 aprile del 1937, quella chiesa, il tempio in cui prediligeva entrare in occasione del novenario dell’Immacolata, quando l’intera città si riuniva in preghiera prima che facesse giorno: sostava in raccogliemento accanto agli uomini e alle donne, che di lì a poco si sarebbero mossi chi per il lavoro dei campi, chi per raggiungere i boschi del Matese. La sua “prossimità”era per tutti. Per quei seminaristi – i più piccoli d’età – che amava raccogliere intorno a sé chiedendo aiuto quando il cappotto e il cappello necessitavano di un colpo di spazzola: “Non si sottraeva alla nostra irrequietezza del momento, anzi si compiaceva di stare con noi, sorridendo di fronte alla eccessiva premura che gli mostravamo”. La cronaca di quegli anni si tinse dei colori freddi e cupi della guerra e della fame. La ritirata dei tedeschi tra il 16 e il 18 ottobre del 1943 sferrò il suo colpo violento su Piedimonte e sui vicini centri come Alife. L’esercito aveva l’obbligo di impedire l’avanzata degli alleati o quanto meno di rallentarla: i primi bombardamenti distrussero due ponti sul Torano e l’imponente cotonificio. Rimaneva da abbattere l’enorme edificio del Seminario.
Mons.Noviello, implorò gli ufficiali tedeschi, ponendosi così tra la guerra e uno spiraglio di pace. Chiese ed ottenne. Chi era presente ricorda il fiotto di sangue che prese a scorrergli dal naso: “Fu la forte emozione, la tensione di quel momento. Il sangue pareva non fermarsi più…”. Di fronte a quell’uomo, al suo coraggio, alla manifestazione di amore non solo per il Seminario e la Chiesa, ma per un intero quartiere lì arroccato, di fronte a quel grido di pietà, la guerra fece un passo indietro, risparmiando ai piedimontesi un ulteriore dolore. Era per strada, verso Piazza Roma, quando fu colpito da un ictus che da quel momento gli impedì la parola e il movimento, sacrificando la sua strenua volontà di stare tra la gente. Il profondo senso di carità non si spense con il venir meno delle forze, anzi, si rafforzò fino a lasciarlo povero. Povero per aver donato tutto ciò che aveva. E’ morto così: nei suoi cassetti di sapore antico, pochi effetti personali, il breviario, i libri, nel suo cuore una profonda ricchezza donata in eredità alla terra di Alife: l’amore per l’uomo, il servizio umile e fedele alla chiesa.

Grazia Biasi

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