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Commenti di troppo su quei nomi. Quando le parole (non) hanno un limite

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No al giustizialismo. A distanza di una settimana dagli arresti che hanno sorpreso il Matese, una riflessione sui guidizi troppo affrettati elargiti dalla rete

Antonio Santillo | La vicenda giudiziaria che riguarda i nostri territori ha scatenato tante voci, molte fuori luogo: la reazione di una parte dei cittadini è stata ed è particolarmente violenta.
Attraverso gli organi di stampa, soprattutto digitali, sono stati espressi giudizi, per lo più offensivi e auspicate pene severissime per gli accusati, ritenendoli non meritevoli di alcuna umana comprensione.
Giudizi categorici, conditi da mancanza di rispetto per gli interessati e per i loro famigliari, forti nel numero, tutti dello stesso tenore tanto da divenire banali, e armati di luoghi comuni ed in molti casi di pigrizia mentale.
Le opinioni espresse si sono trasformate in atti di violenza verbale contro la singola persona, già duramente provata, e soprattutto contro la famiglia che indirettamente vive il dramma della carcerazione preventiva.
Le persone, che esprimono tali giudizi, sono convinte di essere giuste e rette e sicuramente lo sono, ma l’impressione che emerge dalle parole usate è quella della prepotenza, al pari di chi esercita il potere solo a beneficio degli amici.
Prepotenza che cozza con l’elementare principio del rispetto dovuto a donne ed uomini, anche accusati di gravi reati, i cui fatti sono ancora da provare.
Persone alle quali deve essere riconosciuto “il ragionevole dubbio” di non aver commesso il reato contestato. Dubbio che dovrà essere sciolto in un pubblico processo.
Senza processo, è legittimo esprimere opinioni e pensieri anche sulle persone che hanno ricoperto una carica pubblica, circa il loro modo di amministrare gli interessi della società, ma i giudizi sulla loro colpevolezza devono essere contenuti e devono essere privi da offese.
L’uso di appellativi offensivi si risolve sempre in apprezzamenti di natura discrezionale, soggettivi e arbitrari, quindi in prepotenza del più forte nei confronti del più debole. Nel nostro caso della persona privata della carica pubblica.
Cittadini sinceramente democratici e rispettosi della libertà e soprattutto della dignità di ciascuna persona, rispettano il  principio di presunzione di innocenza: “Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa.”
Principio, presente nel nostro ordinamento nella formulazione: “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” (art. 27, 2° comma, della Costituzione), affermato nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 (art. 11).
Il rispetto di tale principio ha una ragione profonda, la consapevolezza, maturata dall’esperienza storica sui comportamenti degli uomini, dell’universale debolezza umana nel vedere, nel sentire e nel valutare i fatti che vive o che le sono rappresentati.
Debolezza che riguarda tutti, poiché siamo spesso orientati a vedere solo ciò che vogliamo vedere. In assoluta buona fede ci convinciamo di un fatto, magari diverso da quanto visto e/o compreso, ciò si può verificare, anche senza accorgercene, quando raccontiamo il fatto secondo l’immagine e la convinzione che abbiamo nella testa di tale evento prima di vederlo e/o di sentirlo.
La debolezza umana di cui si parla è fortemente influenzata dalla contingenza storica, dalle opinioni e dalle credenze maggiormente diffuse del tempo che viviamo.
Insomma, nel momento in cui agiamo/parliamo/scriviamo senza riflettere i pregiudizi possono avere la meglio e farci vedere e giudicare in modo sbagliato. Se testimoni, raccontare in modo sbagliato e influire, così, sulla decisione di un Giudice.
Oggi chi non nutre diffidenza nei confronti di coloro che vivono la politica da protagonisti?
Questa è la ragione storica, nel solco del rispetto dei diritti umani, per la quale il modello processuale contemporaneo si è sviluppato a garanzia e a tutela dell’innocente, anche a costo di lasciare libero qualche colpevole.
L’errore processuale, dovuto alla prevalenza della percezione emotiva dei fatti costituenti ipotesi di reato, è sempre da evitare.
La percezione emotiva della giustizia spinge ciascuno di noi ad emettere giudizi affrettati ed induce a comportamenti simili a quelli del prepotente, sia esso politico e/o cittadino senza cariche.
Il processo è il solo luogo pubblico dove nel rispetto delle regole, è possibile accertare se un fatto è avvenuto e se la persona accusata l’abbia commesso o meno.
Tutto quello che accade nel processo, proprio perché pubblico è rimesso al giudizio di ciascun cittadino, libero di esprimere opinioni sul fatto, sulle persone accusate, sugli accusatori e sui giudicanti.
Tutto quello che è fuori dal processo costituisce solo la posizione di una delle parti coinvolte nel processo, quindi portatore di interessi di parte. Parte da tenere in sospetto quale possibile soggetto interessato a manipolare la realtà per i fini che persegue.
Prima del processo, sospendiamo i giudizi e lasciamo ai giornalisti, nella loro indipendenza, il compito di dare le informazioni e la lettura che viene dalle parti che saranno poste alla base della futura discussione processuale.
Non sostituiamo il principio di non colpevolezza, ovvero di innocenza, con il suo contrario presunzione di colpevolezza fino a prova contraria.
Rimaniamo in ascolto, e giudichiamo l’efficienza del sistema, che come primo compito deve evitare la condanna dell’innocente e come secondo quello di evitare l’assoluzione del colpevole. Il tutto possibilmente in tempi brevi.
Ogni comportamento diverso, scade sempre nell’ingiustizia.
È difficile definire la giustizia, ma per il Giudice potrebbe valere la definizione data in antico: “La Giustizia è la ferma e costante volontà di dare a ciascuno ciò che gli spetta di diritto”.
Per noi cittadini, “Giustizia” dovrebbe significare qualcosa di più.
Ciascuno può cercare il significato per sé stesso in relazione all’altro.
Per tutti, però, è possibile far riferimento al concetto di “rettitudine morale”.
Per i credenti rettitudine morale significa conformare la propria esistenza alla volontà di Dio.
Per tutti, però, significa farsi giusto, o meglio essere giusto (moralmente retto) nei confronti degli altri uomini.
Essere moralmente giusto nei confronti degli altri, implica anche difendere la persona, di cui non si condivide il cammino, i comportamenti, le parole e ogni altro aspetto della sua vita, quando questi è ingiustamente offeso.
A seguito degli arresti, la cui fondatezza è tutta da verificare, vi sono persone offese nei sentimenti. Offese che feriscono anche persone estranee ai fatti di cui si parla sui giornali, come coniugi, figli (probabilmente anche piccoli), parenti, amici ed anche semplici elettori che in perfetta buona fede hanno espresso il loro voto in favore di alcuni degli accusati. Persone che meritano la difesa da parte di ciascun cittadino della comunità matesina.
Ciascuno di noi abbia la pazienza di attendere. Il processo ci aiuterà a capire, anche se consapevoli che la verità processuale non sempre corrisponde alla verità sostanziale e storica dei fatti.
Nell’attesa ciascuno si senta libero di esprimere opinioni sull’operato di chi ha amministrato o amministra il Matese, ma senza arrecare offese.
Nell’attesa del processo, auspichiamo che i Magistrati, ricerchino la giusta verità a beneficio del servizio reso ai cittadini, agiscano  in fretta e bene, per accertare i fatti, anche per evitare che si verifichino situazioni simili in futuro; i giornalisti diano le più ampie e corrette informazioni; noi cittadini diamo i primi e più severi controllori di quanto accade sul territorio, per evitare il verificarsi di quanto parliamo soprattutto al fine di evitare l’esercizio della violenza, anche solo verbale, nei confronti degli eventuali colpevoli, oggi assistiti dalla presunzione di innocenza e, soprattutto, nei confronti di chi non può essere incolpato di nulla.

2 COMMENTI

  1. Come al solito i giornalisti hanno la memoria corta in un paese che è rimasto al medio evo.
    Andare a vedervi la gogna toccata ad altri rappresentanti politici di altri partiti poi potreste pubblicare certi articoli.

  2. Non al giustizialismo fai da te …ma neanche un let it bet generalizzato…. in nome di una presunta innocenza fino alla conclusione dei tre livelli di giudizio…. tutti sanno che la politica è malata ma il medico e chi dovrebbe curarla è il malato stesso. Come è possibile che la politica possa legiferare contro se stessa per limitare il proprio potere !!! la magistratura e gli altri organi dello stato preposti al controllo per tantissimi anni hanno lasciato fare…e anche quando le responsabilità erano certe … miracolosamente i tempi dei giudizi si sono dilatati fino ad arrivare ad benevole prescrizione del reato… Quindi se ci sono stati dei commenti un po’ forti da parte di qualcuno forse sono dovuti alla sfiducia negli Organi dello Stato e soprattutto in una certa classe politica che, sicura della in-punizione del proprio operato, per tantissimi anni ha agito in regime di immunità perpetua per tutto quanto potesse fare dai bandi di gara ai collaudi delle opere o delle forniture fino alle liquidazioni dei lavori fantasma.

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