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L’epulone e Lazzaro. Poveri e ricchi ieri come oggi, nel Vangelo di Domenica 25 settembre

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A cura di don Andrea De Vico
Anno C – XXVI per Annum (Lc 16, 19-31)     

“Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti!” 

Nel Vangelo troviamo due personaggi dai destini incrociati: “un ricco”, di cui non viene detto il nome, e un povero di nome Lazzaro. Il primo è caratterizzato da un appellativo generico: “l’epulone”, cioè “un riccone”, uno che se la spassa bene. In latino, la parola aepulae” sta ad indicare “le ricchezze”. Gesù non lo degna neanche di un nome proprio di persona! Come per dire: il ricco più si fa ricco e meno assomiglia a un uomo, diventa come le sue ricchezze, fa parte lui stesso delle sostanze accumulate, fa “corpo” con la roba che ama.

Guardate il guardaroba: porpora e lino finissimo del primo, panni lerci e cenciosi del secondo. Quando c’è un principio di povertà, la fame si può anche nascondere. Quello che è più difficile da sopportare è andare in giro con abiti inappropriati che subito ti identificano come un miserabile. Quanta gente ci passa accanto con l’abito bello e un buco nello stomaco! Lazzaro stava alla porta pensando di sfamarsi almeno con le molliche con cui quelli si puliscono le mani e poi buttano a terra, ma nessuno ci fa caso. Viene da pensare a certi ristoranti di oggi che presentano i loro piatti raffinati sopra una focaccetta di pane destinato al secchio dell’immondizia. Siamo degli incoscienti!

Il povero morì. E’ sempre lui il primo a morire. Certo, le condizioni igieniche e alimentari, la mancanza di un’assistenza sanitaria … La morte in certi casi viene vissuta come un bene, come una liberazione. Poi muore anche il ricco. Strano che muoia anche lui: ha visto mari e monti, villeggiature e lussi senza fine, i migliori consulti medici e le analisi più costose, ma questo lo ha solo aiutato a spostare un po’ il paletto, a campare un po’ di più. Alla fine è dovuto morire anche lui.

Ora la situazione si è rovesciata: Lazzaro si trova in un luogo di consolazione e di beatitudine, il ricco nei tormenti. Il primo nel seno di Abramo, l’altro nelle tenebre dell’Ade. Tra le due realtà c’è un abisso invalicabile, eppure riescono a parlarsi a un tiro di voce. Il ricco non si era mai accorto di Lazzaro quando mendicava alla porta, ma ora lo riconosce, eccome! Ora è lui che vorrebbe un piccolo favore, almeno una goccia d’acqua, “ti prego”, ma non è possibile! Abramo lo chiama col dolce nome di “figlio!” I dannati subiscono il danno che si sono procurati da soli, eppure restano “figli”, anche all’altro mondo! Non c’è astio nelle parole di Abramo, non c’è la fredda soddisfazione della vendetta, ma un senso di giustizia mesta e irremovibile: “tu hai già avuto … ora Lazzaro deve avere …” Il ricco si è dannato non a motivo della sua ricchezza, ma per avere ignorato il povero Lazzaro, quando stava alla porta. Manco lo aveva visto! Lazzaro si presentava regolarmente ai festini, quindi quello di Epulone non era il peccato di una sola volta, ma un peccato continuato, strutturale.

“E va bene, pazienza”, sembra dire il ricco. “Però fammi un favore, ho dei fratelli… cerca di metterli sull’avviso … che non capitino pure loro in questo posto!” Strano, il ricco aveva dei fratelli! Se ne accorge solo adesso! E’ difficile vedere un ricco a tavola coi suoi fratelli. Il ricco è un solitario, estraneo persino al suo stesso sangue. La risposta di Abramo giunge puntuale come uno sparo a mezzogiorno: se questi fratelli non credono alla Parola di Mosè e dei Profeti, non crederanno neppure ai sepolcri che si scoperchiano e ai morti che si rimettono in piedi. Tutt’al più diranno che si tratta di un fantasma, un’allucinazione, una macchinazione.

Questo vale anche per noi: è inutile andare in giro a cercare dei segni dell’aldilà, Gesù non ne parla, e il Magistero della Chiesa è molto secco, in merito. In quei rarissimi interventi ufficiali, troviamo semplicemente espresso il fatto che l’anima, appena lasciato questo mondo, “mox”, cioè “subito”, “immediatamente”, si dirige all’inferno o al paradiso. Il Giudizio particolare avviene subito dopo la morte, e il destino di ognuno è fissato una volta per sempre, senza che vi sia più luogo a penitenza. Questa dottrina è affermata e definita nel Concilio Lionese II (1274) (Bolla “Benedictus Dominus” di Benedetto XII – 1336) e nel Concilio Basileense-Ferrarese-Fiorentino (1431-1439). Con ciò, il Magistero intende proibire decisamente ogni sorta di necromanzia (interrogazione diretta dei morti per avere delle particolari rivelazioni o conoscenze).

Oggi la necromanzia si presenta sotto forma più morbida e apparentemente innocua, ad esempio con le espressioni di “contatto medianico”, “scrittura automatica” e simili. In questi fenomeni accade di tutto, ci sono idee fascinose miste a vapori di zolfo, il discernimento è difficile. E’ molto improbabile, se non proprio impossibile, costruire una scienza teologica a partire dall’immensa massa di materiale dato dai cosiddetti “fenomeni medianici”.

 E’ evidente che un angelo del Signore non ha interesse nel presentarsi come spirito cattivo. E’ più facile che accada il contrario: sono i demoni che si travestono in angeli di luce. Ammesso che in una “seduta medianica” venga un angelo del Signore o un’anima buona, la finestra che si apre tra i due mondi viene presa d’assalto da una miriade di defunti freschi di giornata (mox?) o di spiriti stagionati da secoli ansiosi di comunicare. Le persone sono convinte di contattare i loro defunti, ma non si accorgono di avere a che fare con degli spacciatori di identità che si presentano come guide ultraterrene, facendosi beffe dei sentimenti più cari.

Il mondo dei medium è pieno di ambiguità, opportunismo, malafede, sognatori, visionari, carismatici, ciarlatani e magoni. Mosè, i Profeti e i Vangeli vengono semplicemente ignorati, superati, sostituiti o mistificati dagli scritti medianici, provocando la confusione degli animi, lo sbandamento della fede, persino il rischio di perdere l’eterna salvezza. Mai andarsi a cercare di queste robe.

Tuttavia, di tanto in quando, dei segni genuini come il dialogo tra Epulone e Lazzaro ci sono, se Dio li permette. I mondi si avvicinano a un tiro di schioppo. Ci sono dei doni degni di essere presi in considerazione, accogliendoli con rispetto e riconoscenza. Pero’ sono doni che si pagano caro, meglio non chiedere nulla.

Mai perdere di vista il riferimento alle Scritture: Mosè e i Profeti, cioè la Legge e lo Spirito che dà vita alla Legge. Abbiamo una grande Parola per metterci al sicuro, questa sola ci deve bastare. Se nella nostra vita, ad un certo punto, arriva qualcosa di meraviglioso o di straordinario, sarà un aiuto nel senso del Vangelo, una gratificazione di cui non abbiamo il diritto di abusare.

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