a cura di don Andrea De Vico
Anno C – XXXIII per Annum (Lc 21, 5-19)
“Maestro, quando accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?”
Ogni tanto ci sono dei matti che annunciano la fine del mondo. Prima i proclami erano di tipo mitico-religioso: congiunzioni astrali, passaggi storici, cifre tonde del calendario… Oggi queste superstizioni si sviluppano su base scientifica: inquinamento, sovrappopolazione mondiale, buco nell’ozono, effetto serra, cambiamento climatico, bomba nucleare, meteora gigante e così via. Il catastrofismo apocalittico è un filone molto redditizio nel cinema hollywoodiano. In realtà l’unica cosa certa è che ci vuole davvero poco per scatenare un disastro globale. La fine del mondo dovrà pur venire da qualche parte, come la morte individuale è pur sempre in agguato dietro l’angolo!
Rispetto a questo “senso della fine” Gesù si esprime in controtendenza, non indica una data precisa, non agita lo spauracchio della catastrofe finale, anzi dice che nessuno conosce il tempo e l’ora, ed è da sciocchi lasciarsi impressionare. Sant’Efrem dice che il Signore non ha rivelato il giorno del suo ritorno perché i discepoli stessero sempre all’erta, tenendo viva la speranza della sua venuta. Se avesse rivelato il tempo della fine, il suo avvento sarebbe rimasto senza mordente, e il Signore dei tempi avrebbe trovato le coscienze adagiate in un languido fatalismo. Effettivamente, se uno conoscesse il giorno e il modo della sua morte, ne resterebbe paralizzato. È dunque una grazia non conoscere il giorno né l’ora, cosa che in noi mette in moto “il senso della storia”. Il Signore vuole che ogni suo discepolo, in ogni generazione, aspetti la sua venuta.
D’altro canto si può ben dire che ogni giorno sia la fine del mondo: terremoti, inondazioni, fame, malattie, epidemie, guerre… così come ogni giorno assomiglia a quello della nostra morte: mortificazioni, dispiaceri, insuccessi, crolli personali. Possiamo reggere a tali prove? Il mondo è un enorme setaccio: prima o poi scuote tutti, buoni e cattivi, senza risparmiare nessuno. Tutti questi “segni”, che poi si rivelano essere “prove”, servono per vedere “chi passa” e “chi resiste”.
La prova degli Angeli è stata una sola, nel “non-tempo”. Gli Angeli hanno più conoscenza e sapienza di noi, per cui è bastata una sola prova per vedere se stanno con Dio o contro di Lui. L’uomo invece è più complesso dell’Angelo nel suo modo di essere: impasto di sole, di luce e di fango, per cui anche la sua prova è più complessa, ci sono più prove. Accettare la prova è salire, e Dio aiuta: più accettazione, più aiuto. Più prove, più felicità. Ringrazieremo Dio per le lacrime versate. Altrimenti per quale motivo Gesù avrebbe detto: “beati quelli che piangono?” Il mistero sarà svelato, sapremo perché avremo pianto. Non “qui e ora”, ma “lì e dopo”. Per ora limitiamoci ad aspettare, sperare, operare, portando pesi che nel Regno di Dio si riveleranno lievi come nuvole.
Quelli che “qui e ora” vanno a cozzare contro lo scoglio della sofferenza innocente, ne restano scandalizzati e presentano il conto a Dio, reputandolo “responsabile” della sofferenza dei suoi figli, quando Lui il realtà li accoglie e trasforma le lacrime in felicità. Il bambino che muore di stenti rinasce angelo felice. Sui sentieri dell’Infinito ci sono bambini che vanno a giocare, hanno i giochi che amavano in terra. Nei paesi del cielo il piccolo bimbo gioca, divenuto adulto crea. Le ore sono prove, e le prove si superano una dopo l’altra. Perciò non ci dobbiamo mai lagnare della vita, ma accettare i momenti difficili che ci mette avanti. La fine del mondo è tutta qui. Chiude.